Le elezioni politiche italiane del 4 marzo 2018 hanno portato alla nascita di un parlamento frammentario in cui nessuna coalizione risulta essere in grado di formare un governo omogeneo. Perché possa nascere un nuovo esecutivo, numeri alla mano dovrà esserci per forza di cose un accordo tra diverse parti politiche, anche non omogenee tra di loro, e sciolto questo rebus rimarrebbe tuttavia un ulteriore interrogativo: chi farà il premier?
Come è stato più volte detto, perché nasca un nuovo governo le possibilità sono: o un accordo tra centrodestra e Movimento Cinque Stelle, o tra centrodestra e Partito Democratico, o tra Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico o tra Movimento Cinque Stelle e Lega, che lascerebbe quindi i suoi alleati di centrodestra, in primis Forza Italia.
L’elezione dei presidenti di Camera e Senato ha rappresentato la prova generale di un’intesa trasversale tra più forze politiche, e in questo caso c’è stato un accordo tra il centrodestra (tutto unito, da Forza Italia alla Lega) e il Movimento Cinque Stelle, portando all’elezione del pentastellato Roberto Fico a presidente della Camera e della forzista Maria Elisabetta Alberti Casellati al Senato.
La prossima settimana il presidente della Repubblica Sergio Mattarella inizierà come da prassi le consultazioni per la creazione del nuovo governo ed è facile immaginare che partirà proprio da qui. Tuttavia, anche se questa coalizione (o una coalizione simile) dovesse tenere, rimane un interrogativo relativo a chi farà il premier.
La coalizione di centrodestra è stata la più votata, e secondo quanto ha dichiarato in campagna elettorale, il candidato premier sarebbe stato quello indicato dal partito più votato al suo interno, che si è rivelato essere la Lega. Matteo Salvini è dunque il candidato premier del centrodestra che i partiti della coalizione sosterranno in sede di consultazione.
Il Movimento Cinque Stelle, singola lista più votata d’Italia, è stato molto chiaro su questo: dall’inizio della campagna elettorale ha sempre indicato Luigi Di Maio come candidato premier, in quanto i militanti del movimento lo hanno investito loro leader attraverso una votazione online sulla piattaforma Rousseau.
Tagliato completamente fuori c’è poi il Partito Democratico, che aveva Matteo Renzi come proprio leader in campagna elettorale ma, oggi terza forza del paese, potrà eventualmente – numeri alla mano – giocare un ruolo di “stampella” di un prossimo governo.
Tuttavia, in seguito alla direzione tenuta subito dopo le elezioni del 4 marzo, i dirigenti del partito hanno dichiarato di voler rimanere all’opposizione dopo il tracollo elettorale.
Questo riduce i possibili accordi per il nuovo governo a centrodestra e Movimento Cinque Stelle ma, anche qualora questi dovessero effettivamente avvenire, rimarrebbe una questione ancora aperta: chi farà il premier?
Proprio per via delle rispettive performance elettorali positive, né Matteo Salvini né Luigi Di Maio sembrano al momento intenzionati a cedere la leadership del governo ad altri.
Il 27 marzo il Cinque Stelle Alfonso Bonafede, indicato prima del voto come ministro della Giustizia, ha dichiarato che “un altro candidato premier non eletto dai cittadini determinerebbe il definitivo allontanamento dalla politica” e che il movimento è intenzionato a sostenere esclusivamente Luigi Di Maio.
Intervistato da Tele Lombardia, il leghista Salvini è stato più possibilista, dicendosi pronto a metterci la faccia ma che non si tratta di “o me o la morte”.
Se queste dichiarazioni apparentemente farebbero prendere quota a un’ipotesi Di Maio, c’è un’altra faccia della medaglia che va considerata: Forza Italia. Il partito di Silvio Berlusconi difficilmente accetterebbe di sostenere un governo Di Maio, e lo stesso Di Maio potrebbe porre il veto su molti possibili ministri di Forza Italia (come già ha fatto su Paolo Romani quando è stato proposto presidente del Senato), e qualora Salvini decidesse di proseguire il percorso di accordo con il Movimento Cinque Stelle senza Forza Italia, rischierebbe di spaccare irrimediabilmente la coalizione di centrodestra.
Anche se sia centrodestra che Movimento Cinque Stelle attualmente sembrano non essere disposti a particolari cedimenti, viene per forza di cose presa in considerazione anche l’ipotesi di un premier terzo, trapelata su diversi giornali. Nonostante i Cinque Stelle abbia al momento detto no a questa possibilità, è plausibile immaginare un’ipotesi simile.
Già nel 2013, centrodestra e centrosinistra trovarono un accordo per un governo di larghe intese guidato da Enrico Letta, esponente del PD ma non indicato come premier dal centrosinistra.
Tuttavia, questo aprirebbe un nuovo totonomi su chi farà il premier, dal momento che la storia recente insegna la possibilità di ipotesi sorprendenti che nessuno avrebbe apparentemente preso in considerazione, quali il già citato Enrico Letta o l’attuale premier Paolo Gentiloni.
In questo caso, sarebbe difficile quindi fare una previsione realistica, ma la prima domanda da porsi sarebbe se dovrà trattarsi di una figura più vicina al centrodestra o al Movimento Cinque Stelle.
Prima delle elezioni, quindi in tempi non sospetti, quando non era nota la composizione del parlamento, molti osservatori hanno indicato nell’ex presidente della regione Lombardia Roberto Maroni un possibile nome per un governo di larghe intese.
Maroni, leghista ma più volte critico verso Salvini, attualmente non ha incarichi e il suo profilo può essere considerato terzo nell’attuale contesto politico. Difficile però pensare che il Movimento Cinque Stelle, forte di un consenso altissimo nel Sud Italia, sia disposto ad accettare come premier una persona che ha accusato Salvini di aver accantonato la vocazione nordista della Lega.
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