Matteo Renzi rischia di andare a processo per il caso dei finanziamenti alla fondazione Open, fondazione nata per sostenere le iniziative politiche dell’ex premier e finita al centro di un’inchiesta per traffico d’influenze illecite, riciclaggio e finanziamento illecito ai partiti. Nei giorni scorsi undici persone, tra i più stretti collaboratori di Renzi, hanno ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini. Matteo Renzi ha invocato l’immunità parlamentare e ha diffidato la procura dallo svolgere qualsiasi attività investigativa che riguardi la sua persona.
Il Corriere Fiorentino ha rivelato che a fine estate i legali del leader di Italia Viva hanno presentato alla Procura di Firenze “formale intimazione di astenersi dallo svolgimento di qualsivoglia attività investigativa preclusa dall’art. 68 della Costituzione e dell’articolo 4 della legge 140/2003, nonché nell’utilizzare conversazioni e corrispondenza casualmente captate senza previa autorizzazione della Camera di appartenenza”.
In passato il senatore si è più volte espresso contro la garanzia prevista dall’articolo 68 e in più occasione ha sfidato i suoi avversari politici a rinunciare all’immunità per affrontare la giustizia in tribunale. Sul caso Open, però, Renzi ha deciso di agire diversamente. Il procuratore aggiunto Luca Turco, titolare dell’inchiesta, ha ritenuto che in questa caso l’esimente non sia applicabile e per questo ha rimandato la decisione alla Giunta elezioni e immunità parlamentari del Senato. Il pm ritene che le mail e i messaggi finiti agli atti provengono da altri indagati e per questo non dovrebbero essere secretati. Tra gli undici indagati per finanziamento illecito ci sono Luca Lotti, Maria Elena Boschi, Marco Carrai e l’ex presidente della fondazione Alberto Bianchi.