Nella richiesta di consegna dei cellulare alle persone coinvolte nell’inchiesta sui camici in Lombardia, i pm di Milano parlano di “diffuso coinvolgimento di Attilio Fontana in ordine alle vicende relative ai camici e alle mascherine, accompagnato dalla parimenti evidente volontà di evitare di lasciare traccia del suo coinvolgimento mediante messaggi scritti”.
Tra questi, quello del 16 aprile 2020 delle 15 e 22 in cui il cognato Andrea Dini “informa la sorella Roberta circa l’ordine dei camici da parte di Regione Lombardia: ‘Ordine camici arrivato. Ho preferito non scriverlo ad Atti’. E lei gli risponde: “Giusto, bene così”. Al centro dell’indagine c’è la fornitura alla società Dama spa, società di Dini, di 75mila camici e altri dispositivi di protezione anti Covid.
La vicenda è quella che ha al centro il presunto affidamento diretto alla Dama Spa, il 16 aprile scorso, senza gara, di circa 75mila camici destinati agli operatori sanitari della Regione, presentati dalle parti come «donazione» ma che secondo la Procura di Milano sarebbero stati trasformati in un dono solo dopo i dubbi sollevati dalla trasmissione Report. La fornitura era basata su un contratto tra Aria, la centrale acquisti regionale, e Dama: l’affidamento fu poi trasformato in donazione, secondo l’accusa, quando venne a galla il conflitto di interessi della società dei familiari del governatore.
Secondo i pm ci sarebbe “la piena consapevolezza” di Andrea e Roberta Dini “riguardo alla situazione di conflitto di interessi” nel caso della fornitura di camici. I due fratelli, in particolare, avrebbero predisposto “strumentali donazioni di mascherine” per “precostituirsi una prova da utilizzare per replicare alle presumibili polemiche” sul conflitto di interessi sulla “commessa di camici”. In un messaggio tra Andrea Dini e un responsabile di Dama il primo scrive: “Dobbiamo donare molte più mascherine, se ci rompono per le forniture di camici causa cognato noi rispondiamo così”.
Le indagini milanesi seguono l’operazione della Gdf di Pavia che ieri ha acquisito memorie di altri telefoni, tra cui quello di Fontana, per il caso Diasorin-San Matteo. Un blitz giudicato “troppo invasivo” dallo stesso Fontana che ha ribadito la “legittimità” del suo operato e spiegato che nel suo telefono non c’è nulla di cui si possa preoccupare.
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