L’elemosiniere disobbediente non risolve un problema, è vero. Ma l’elemosiniere disobbediente impone a tutti noi una domanda che non ci eravamo ancora posti.
L’elemosiniere non deve pagare con i suoi soldi perché il suo gesto sia credibile, non deve mettere le sue fiches sul tavolo da gioco come un pokerista che vuole fare la sua puntata.
E non è nemmeno tenuto a farlo con i fondi del Vaticano, per sanare la bolletta dei poveri morosi. Perché già li usa in opere di carità, ogni giorno. Il problema non è lui.
L’elemosiniere, calandosi in quella buca, ci dice semplicemente: ma voi vi siete accorti che quel palazzo veniva sgomberato? Vi siete chiesti chi c’era dentro? E sapevate che appesi al suo destino ci sono cento bambini che oggi rischiano di finire in mezza una strada?
Non è banale né scontato, anzi è molto interessante il dibattito che si è sviluppato in rete intorno alla provocazione di Padre Konrad Krajewski, rappresentante spirituale di sua santità, ma anche uomo del fare e dell’agire, che gira per le vie Capitale con il suo furgone distribuendo soccorsi e generi di prima necessità.
La risposta di Matteo Salvini che con apparente pragmatismo lo invita a pagare la bolletta, ripete il tipico gesto di chi quando si parla della luna indica il dito.
Sappiamo tutti che la rottura dei sigilli non risolve il problema degli occupanti di via Santa Croce in Gerusalemme, a Roma, nel quartiere Esquilino che è un crocevia incredibile tra ricchezza e povertà.
Sappiamo tutti che quei sigilli verranno posti di nuovo. Quel gesto non risolve il problema, ha un valore puramente simbolico. Questo significa che padre Konrad si prenderà una denuncia, che con la sua disobbedienza civile non ha certo cancellato la bolletta di 130mila euro che era rimasta in sospeso per le utenze del palazzo occupato.
La disobbedienza civile del prelato di Francesco, però (soprattutto quella di un prelato), non è un gesto caritatevole e pio: è piuttosto come un taglio nella tela, una provocazione spiazzante. È un trauma che per un momento ci fa cambiare la prospettiva a cui ci siamo abituati.
È uno shock che muta il nostro punto di osservazione: quello che prima dovevamo per scontato, il valore importante della legalità, deve essere oggi bilanciato anche con altri valori. Deve essere riconsiderato, alla luce di ciò che non può essere dato per scontato, e cioè il tema dell’emergenza.
Abito molto vicino al palazzo di Santa Croce in Gerusalemme, posso dire di conoscere, di vista, molti quelli che ci abitano. I figli di queste famiglie vanno a scuola alla Di Donato, a poche traverse di distanza da dove mio figlio ha fatto le sue elementari.
Non sono squatter, quegli occupanti, non sono skinhead: sono famiglie. Persone che fanno lavori umili, gente che pulisce scale, piccoli artigiani decaduti, nuovi poveri.
Il primo tema da porsi è che il mercato degli affitti è fuori controllo, soprattutto nelle grandi città (dove si arriva a chiedere 500 euro per un letto), e che i centri storici si spopolano.
Tutto ciò non è mai una buona cosa: forse dovremmo chiederci anche che città vogliamo, e se vogliamo questo tipo di città, con i borghesi asserragliati nelle Ztl e i nuovi poveri confinati lontano dagli occhi e fuori dal raccordo anulare.
Con i migranti che non sbarcano perché muoiono in mare senza che noi si possa essere disturbati dalla visione dei cadaveri. La cosa curiosa è che in questo paese si è arrivati a difendere in linea teorica “l’abusivismo di necessità”, ma si continua a negare la necessità della sussistenza per gli ultimi.
Tuttavia quella necessità è davanti ai nostri occhi, anche quando non riusciamo a vederla: nei nostri quartieri, nelle nostre scuole, nei luoghi che frequentiamo.
Padre Konrad si è infilato in quel buco, non come un tecnico di una municipalizzata, e non per parlarci di una bolletta. Non ha illuminato solo le famiglie occupanti. Ha acceso la luce anche per noi.
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