Onorevole Calenda, perché lei sta facendo una battaglia senza quartiere su gas ed energia?
«Perché mi sta a cuore il futuro di questo Paese».
Ovvero?
«Questa guerra durerà molto. E ridisegna completamente rapporti di forza, filiere economiche, blocchi di appartenenza e relazioni internazionali».
E lei pensa che l’energia sia il primo banco di prova da affrontare?
«Le conseguenze per noi saranno in ogni caso serie. Bisogna evitare che diventino drammatiche».
Lei in Europa ha votato contro la proposta di distacco immediato dal gas russo.
«Come qualsiasi persona dotata di buonsenso dovrebbe fare. In Europa lo hanno fatto in tanti, in Italia sono stato l’unico: vorrei capire tutti gli altri nostri eurodeputati come pensano di far tornare i conti».
Spieghi quel voto.
«Ho studiato il problema a fondo: Azione ha prodotto un dossier con numeri e dati precisi».
Risultato?
«Non esistono possibilità di fare un taglio fornitura totale in tempi immediati. Chi lo dice fa demagogia, oppure è incosciente».
Lo dicono, fra gli altri, Enrico Letta, e uno dei più stretti consiglieri di Draghi, un economista come Francesco Giavazzi.
«Ripeto: se scherza, o si fanno tweet per acchiappare consensi, si può sostenere questa ipotesi. Altrimenti bisogna dire al Paese che rischiamo di uccidere un pezzo della nostra economia. Vogliamo questo? Essere appesi al vento, già a settembre?».
Lei preferisce il condizionatore alla pace?
«Il problema non si può porre in maniera semplicistica. Non c’entra nulla alzare o ridurre di un grado la temperatura degli uffici. Tagliare il gas subito significherebbe – lo dice lo stesso Def – fermare l’industria, perdere 3 punti di Pil, produrre 550mila disoccupati. Vogliamo davvero questo? Non credo».
Si dice: così si fa il gioco di Putin.
«Penso esattamente il contrario: se si mette in ginocchio il mercato dell’energia in Italia, e finiscono in strada mezzo milione di italiani, si regala a Putin un consenso sociale che danneggia la nostra giusta politica di solidarietà con l’Ucraina».
Nel soggiorno della sua casa romana Carlo Calenda compulsa i dati dell’ufficio studi di Azione, recupera pagine di Orizzonti Selvaggi, un suo libro del 2018, in cui prevedeva il ricatto del gas («È una pistola sul tavolo di Putin»). Per questo oggi il leader di Azione punta il dito sulla politica energetica del governo e sulla maggioranza, che giudica schizofreniche e contraddittorie, e su una politica estera che gli pare inadeguata: «Il capo della nostra diplomazia non può dire che Putin è “un animale” in un programma televisivo. Io posso: un ministro no». Quindi Calenda pone il tema del governo Draghi: «Quando è nato aveva due missioni prioritarie. Ora la guerra complica la sfida e impone risposte più complesse». A partire dal Pnrr: «Va integrato e riscritto». Ma la nostra discussione parte, addirittura, da un elmo greco.
Cosa c’entra l’archeologia con l’Ucraina?
«A Pasqua sono andato a vedere la più antica armatura greca, a Nauplia (cittadina del Peloponneso, ndr). Per fare uno di quegli elmi, rivestiti di denti, servivano 40 cinghiali. Ecco come inizia, e con che investimenti, l’industria degli armamenti».
È vero che le piacerebbe un faccia a faccia storico-politico con Canfora?
(Ride). «Sarebbe interessante. Si discute tanto del “dare o no le armi”, ma i primi di cui abbiamo traccia furono i persiani, che diedero la flotta navale agli spartani contro gli ateniesi».
L’equivalente sarebbe dare aerei all’Ucraina come chiede Zelensky.
«Una follia. E tra poco glielo dimostro. Siamo a un salto evolutivo bellico».
Cioè?
«La mitragliatrice ha cambiato la Prima Guerra Mondiale, producendo la guerra di posizione».
E poi?
«I carri armati hanno deciso la seconda, producendo la blitzkrieg, la guerra lampo hitleriana».
E oggi?
«I missi anticarro e i droni stanno cambiando il conflitto in Ucraina, a sfavore dei russi, come accadde per gli stinger in Afghanistan».
E c’entra?
«Se discutiamo del gas, oggi, è perché il salto tecnologico delle armi ha già cambiato i tempi della guerra. E quindi i nostri».
Perché c’è tanta incertezza sul gas, e perché è così importante per lei?
«Il gas è la chiave di tutto, ed è anche un paradigma dei nostri errori. Sia quelli che si sono accumulati negli anni sia quelli che rischiamo di fare oggi».
Nel passato intende l’eccesso di dipendenza?
«Pensi a cosa abbiamo scelto di fare negli anni. Bloccare le estrazioni italiane, combattere i gasdotti – su tutti il M5S contro il Tap –, sabotare la strategia che da ministro avevo indicato nella strategia energetica nazionale».
Ad esempio?
«Avevo fatto inserire, già allora, due rigassificatori galleggianti».
E oggi perché il governo arranca?
«Il governo Draghi, non bisogna dimenticarlo, era nato con una missione limitata».
Cioè?
«Draghi aveva una idea semplice, e lo abbiamo scoperto in questi mesi: vaccini e Pnrr. E poi andare al Quirinale».
Però la situazione si è complicata.
«È evidente: in primo luogo perché è fallito l’obiettivo del Quirinale. E poi perché quelli erano un mandato, e un programma, a tempo».
E invece?
«Il tempo si è dilatato per il motivo che abbiamo detto, e il programma è salato perché oggi siamo in condizione di guerra che decidono sulla sopravvivenza di un Paese»…Continua a leggere l’articolo sul settimanale The Post Internazionale-TPI: clicca qui