È il 27 aprile 2021 e un disinvolto ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta annuncia davanti alla Commissione Affari Costituzionali del Senato che «per il concorso di Roma Capitale è già previsto il come, nel rispetto delle norme Covid e il dove: Fiera di Roma». E aggiunge: «Abbiamo subito pensato al sistema fieristico italiano anche per una ragione opportunistica. Da tanto tempo non battono un chiodo dal punto di vista economico, visto che le fiere sono bloccate, è un modo per farle riaprire e lavorare». Peccato che l’avviso pubblico per il maxiconcorso da 1.512 posti era stato appena divulgato e i termini per presentare le offerte scadevano il 14 maggio. Quindi il vincitore del bando ad aprile era ancora totalmente sconosciuto. Brunetta ci dice che il suo «è stato un esempio come un altro. Ho citato mille volte le fiere come luoghi funzionali». Sarà una coincidenza, ma il 19 maggio la procedura viene affidata proprio a Fiera di Roma.
In particolare, la commessa è stata consegnata al Consorzio Digicontest. Costituito nel 2020, ha iniziato ad essere attivo solo in occasione del concorso Roma Capitale. Non un atto o un’entrata prima di aprile 2021. I consoci sono Dromedian Srl e Gecom Spa, la prima è una società informatica, la seconda lavora con i sistemi di sicurezza, vigilanza e logistica. Entrambe hanno una partnership consolidata con Fiera di Roma. E infatti anche in quella occasione le hanno dato lo scettro della location prescelta. In dieci mesi di governo Draghi, Digicontest ha vinto tutte le possibili gare, per un totale di ben 48 milioni di euro. La più cospicua non è stata quella romana da 10 milioni, ma quella europea per i concorsi Ripam (banditi cioè sotto l’egida della Commissione Riqualificazione delle pubbliche amministrazioni) di agosto 2021 da 30 milioni di euro. Difficile non intestarsela, visto che il Consorzio era l’unico operatore economico a partecipare.
«È mai possibile che in tutta Europa non esiste un’altra realtà oltre Digicontest che non abbia i requisiti richiesti?! Strano, no? Non sarà, invece, che i requisiti sono un po’ troppo singolari e mirati?», dice indignato il presidente di una società che opera nel settore da oltre 20 anni e che, esasperato dall’andamento delle ultime gare, ha presentato insieme ad altri due soggetti più di un ricorso al Tribunale Amministrativo di Roma per concorrenza sleale. Nel caso del bando da 10 milioni è stato fatto appello al Consiglio di Stato, per quanto riguarda quello da trenta si attende ancora una risposta del Tar. In entrambi i ricorsi viene chiesto di indagare su chi gestisce i contratti per l’organizzazione dei concorsi pubblici: la Formez. Si tratta di una società in house della funzione pubblica che fa da cuscinetto ai ministeri e prepara tecnicamente i contratti per tutto quello che riguarda il mondo dei concorsi, dalla logistica alla sanificazione, fino alla strumentazione informatica o agli agenti che garantiscono la sicurezza. In pratica, Formez PA non sovraintende in prima persona i concorsi, ma trova società private a cui appaltarne la gestione.
A chiarirci come si svolgono le gare per i concorsi quando tutto funziona come dovrebbe è Stefano Battini, professore ordinario di diritto amministrativo e Presidente della Scuola nazionale dell’amministrazione (SNA): «Tutti questi meccanismi dipendono dalla riforma amministrativa dell’ex premier Matteo Renzi. Dove ci sono i punti per l’affidamento alle società private. C’era la previsione che i concorsi potessero essere affidati a società esterne. È evidente che i contratti devono rispettare però le regole dei bandi a evidenza pubblica. Se la gara è aperta a tutti viene fatta l’offerta direttamente. Se la gara è cosiddetta ristretta, invece, c’è l’avviso perché chi vuole essere invitato alla gara. Poi l’amministrazione sceglie chi invitare e quindi le varie aziende possono poi fare la loro offerta. È così che vince chi fa la migliore proposta e la più bassa».
I requisiti richiesti da Formez nel 2021 sono in effetti molto peculiari. In particolare, due di questi saltano agli occhi: le regole riguardanti i software e quelle sulle dimensioni delle aree concorsuali. Con le caratteristiche del bando il campo dei concorrenti si restringe vertiginosamente. Nel paragrafo sui “requisiti minimi per la piattaforma digitale” il capitolato chiede il possesso di un software pubblicato sul Cloud Marketplace e certificato Agid (l’agenzia per l’Italia digitale). «È come se – spiega la nostra fonte – il tuo direttore ti dicesse: ‘Ti posso assumere come giornalista ma devi essere proprietario del programma Word’. Assurdo, no?». In Italia l’unica ad avere la certificazione Agid è Dromedian.
Poi analizziamo le regole anti-Covid. Dopo una lunga interruzione causata dalla pandemia, lo scorso aprile il Comitato tecnico scientifico ha emanato un protocollo per il corretto svolgimento dei concorsi pubblici in cui si raccomanda che “Le aule concorso devono essere dotate di postazioni operative costituite da scrittoio e sedia posizionate a una distanza, in tutte le direzioni, di almeno 2,25 metri l’una dall’altra”. Non viene mai menzionata l’altezza delle aule. Che invece è una delle condizioni nei bandi Formez, dove sono richiesti 6 metri di altezza minimi. E questa caratteristica ce l’hanno solo le fiere e i capannoni. «Tutti noi che eseguiamo concorsi pubblici seguiamo le regole del Cts – mi racconta il membro del Cda di un’altra storica società del settore – ma Formez ha inserito qualcosa che sembra essere veramente ad hoc». Gli stessi identici requisiti si ritrovano a maggio nel bando di Agenzia delle Dogane, vinto ancora una volta dal consorzio Digicontest. «Un chiaro copia e incolla dalle strane prescrizioni di Formez», ci dicono le aziende concorrenti.
Il presidente di Formez Alberto Bonisoli, dal canto suo, si difende ricordandoci che «L’iter dei bandi è stato portato avanti nella totale trasparenza e la relativa documentazione è stata pubblicata sulla gazzetta italiana ed europea, e su tutti gli altri canali previsti, nel pieno rispetto delle norme vigenti». Questo è il minimo. E per quanto riguarda i requisiti che nel ricorso al Tar vengono definiti lex specialis? «Con l’approvazione del decreto 44/21 – asserisce la Formez – i concorsi si svolgono, per la prima volta, sia in modalità digitale che su tutto il territorio nazionale, quindi non solo a Roma. Una vera e propria rivoluzione. Parliamo, quindi, anche degli I-Pad, della sanificazione degli spazi, della gestione degli ingressi. In questo modo, rispettando le prescrizioni del CTS che chiedeva di ridurre gli spostamenti fra le regioni, molti candidati non sono stati più costretti a spostarsi, a prendere dei mezzi e fare lunghi viaggi per poter svolgere le prove selettive. Per questa serie di ragioni si è richiesto ai fornitori di offrire una molteplicità di località in cui organizzare i concorsi».
Ma se – secondo Formez – i sei metri di altezza contano così tanto per proteggere dal contagio, perché allora alcune delle sedi regionali selezionate da Digicontest non rispettano questi termini? Secondo le planimetrie in nostro possesso, hanno soffitti più bassi del dovuto l’Expo Fiera Mi Unahotels in Lombardia (3,5 metri), l’ente autonomo di Fiere di Foggia in Puglia (5 metri) e Mostra d’Oltremare in Campania (3 metri). L’area concorsi che effettivamente supera i sei metri di altezza è Fiera di Roma. Ma lì sono ben altri i problemi.
Il polo fieristico è di proprietà del socio unico Investimenti Spa e non naviga esattamente in acque tranquille. La società Fiera di Roma Srl non ha depositato il bilancio 2020 e in quello del 2019 (l’ultimo presentato) chiude in negativo con 3 milioni e rotti di perdita e – 2.005.0014 milioni di euro di patrimonio netto. In altre parole, significa che il capitale sociale è in rosso e i soci devono ricapitalizzare se non vogliono finire in liquidazione. Le quote di Investimenti Spa le detengono la Camera di Commercio di Roma, Regione Lazio, Roma Capitale, Provincia di Roma, Confagricoltura Bari e Unindustria. Le società che hanno presentato ricorso al Tar hanno un’idea precisa: «Chiaramente il ministero della Pa ha tutto l’interesse a salvare la Fiera, con tutte quelle partecipazioni pubbliche che rischiavano di cadere nel baratro». Brunetta smentisce.
Il terreno sul quale poggia Fiera di Roma è – letteralmente – scivoloso. Non è solo una questione di debiti, ma di sicurezza. I padiglioni si trovano su una superficie argillosa, per la quale la società stessa nella relazione sul bilancio mette in guardia. «Com’è noto – si legge – il Nuovo complesso è interessato da un processo di subsidenza, dovuta alle caratteristiche geologiche […] che ha determinato nel tempo cedimenti con interessamenti delle strutture, delle pavimentazioni, degli infissi e degli impianti. Il processo, che si prevedeva si sarebbe esaurito o quantomeno rallentato, nel decennio, risulta ancora attivo ed ha dato luogo al contenzioso con la società del Gruppo Labaro che ne ha effettuato costruzione e/o vendita». Gli enormi capannoni che siamo andati a vedere personalmente sono ammaccati e piegati su se stessi nei punti in cui il terreno cede. Come è possibile che per strutture del genere sia stato rilasciato un certificato di agibilità? Eppure, Fiera di Roma è stata scelta come cavallo di battaglia.
I concorsi si organizzano con soldi pubblici. Siamo sicuri che i 50 milioni di euro degli ultimi bandi siano stati consegnati esattamente al migliore offerente? Non la pensano così le cosiddette “quattro sorelle” del settore, ovvero Scanshare, Ergife, Merito e Selexy: «Mentre prima il costo per ogni candidato era di circa 10 euro, adesso si arrivano a toccare con il consorzio Digicontest 120 euro a persona», evidenziano. Il prezzo calmierato, oltre che alla poca concorrenza riscontrata nelle gare, si deve soprattutto ai mezzi informatici. Tablet per 20mila candidati, software di ultima generazione, caricatori, anti-virus. Insomma, parte di quella digitalizzazione della PA di cui Brunetta si vanta tanto. Secondo gli esperti, potrebbe avere grandi potenzialità, ma al momento siamo ancora agli albori. «Per digitalizzare non basta avere tanti schermi – sottolinea il prof di diritto amministrativo Stefano Battini – Servono sistemi integrati, un’archiviazione efficiente, programmi che mettono in comunicazione tutta Italia. Una lettura ottica, cartacea, che rimane agli atti e che è immodificabile si ha dopo mezz’ora la prova. Stessa cosa si ha con dei computer, solo che fa molta più scena. I costi ne risentono: un conto è stampare un foglio e un conto è noleggiare tablet per 10 o 20mila persone. Tra l’altro, ha ancora senso fare i test a crocetta solo nozionistici? A mio parere vanno superati, con una scrematura data da percorsi indirizzati e specifici per la Pa».
Al di là del Consorzio che tutto ha vinto quest’anno, la pubblica amministrazione italiana non è ancora pronta al grande passo della transizione digitale prevista dal Pnrr. Fosse solo per la mancanza di cyber sicurezza. Il Belpaese, infatti, è indietro su tutto: dai semplici furti di password alle più complesse e potenzialmente devastanti intrusioni nei server di banche e multinazionali. Per avere un’idea del rischio che comporta sottovalutare la sicurezza informatica basterebbe ricordare il maxiattacco che la scorsa estate ha paralizzato i server della Regione Lazio mandando in tilt la campagna vaccinale – uno dei tanti che ha colpito Regioni o Comuni italiani – e considerare che oltre il 90 per cento dei server della pubblica amministrazione oggi è vulnerabile dagli hacker per via dei mancati aggiornamenti software o altre negligenze. Secondo la classifica stilata da Check Point Research, l’Italia è il secondo Paese più colpito dai cyber attacchi nell’Unione Europea, alle spalle della Spagna. Nei primi 10 mesi dell’anno gli attacchi verso enti o aziende sono aumentati del 36 per cento, con circa 903 incursioni ogni settimana. Tanti annunci per tablet e lettura computerizzata come nel caso di Digicontest, ma poca sostanza. Alla faccia della digitalizzazione.