Autonomia differenziata, cosa ha detto la Consulta e cosa succede adesso
La Corte Costituzionale rimanda indietro al Parlamento la legge sull’Autonomia differenziata. I giudici di legittimità hanno ravvisato in particolare sette specifici profili di incostituzionalità nella riforma dei rapporti Stato-Regioni fortemente voluta dalla Lega e da alcune Regioni del Nord amministrate dal centrodestra.
La sentenza è stata emessa nel tardo pomeriggio di ieri, giovedì 14 novembre: la Consulta ha diffuso un comunicato stampa in cui riassume la sua decisione, anche se le motivazioni saranno depositate solo nelle prossime settimane.
Erano state quattro Regioni del Centro-Sud amministrate dal centrosinistra (Puglia, Toscana, Sardegna e Campania) a interpellare la Corte, presentando un ricorso di costituzionalità contro la legge. I giudici hanno accolto solo parzialmente il ricorso, ritenendo “non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge”, ma “considerando invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo”.
Ora la legge è di fatto bloccato, in attesa che il Parlamento la modifichi recependo le indicazioni della Consulta.
Cosa ha detto la Consulta: i 7 punti incostituzionali dell’Autonomia differenziata
Nel suo comunicato, la Corte Costituzionale sottolinea che il terzo comma dell’articolo 16 della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle Regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) “deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana”, che “riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle Regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio”.
I giudici di legittimità “ritengono che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’art. 116, terzo comma, non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. A tal fine – conclude la Consulta – è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e Regioni”.
La Corte, come detto, ha ravvisato in particolare sette profili di incostituzionalità nella legge. Innanzitutto, per la Consulta lo Stato non può trasferire a una Regione “materie o ambiti di materie”, ma deve trattarsi di “specifiche funzioni legislative e amministrative” e il trasferimento deve essere giustificato alla luce del principio di sussidiarietà.
I giudici di legittimità hanno anche stabilito che non può essere il Governo – tramite una legge delega o un decreto del presidente del Consiglio – a fissare o aggiornare i Lep (Livelli Essenziali di Prestazione): tale compito spetta al Parlamento.
Per la Corte Costituzionale, va poi esclusa la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito: in questo modo, infatti, “potrebbero essere premiate proprio le Regioni inefficienti che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni”.
E ancora, non basta che le Regioni abbiano la “facoltà” di concorrere agli obiettivi di finanza pubblica: deve essere prevista a loro carico la “doverosità”. Infine, la Corte boccia l’estensione anche alle Regioni a Statuto Speciale della procedura per ottenere maggior autonomia: quelle a Statuto Speciale, scrivono i giudici, “possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali”.
Autonomia differenziata, cosa succede adesso
Nel suo comunicato, la Corte Costituzionale scrive che “spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge”. Tradotto: la legge sull’Autonomia differenziata deve tornare alle Camere per essere modificata seguendo le indicazioni della Consulta.
Il commento del ministro Calderoli
“La decisione della Corte costituzionale ha chiarito in maniera inequivocabile che la legge sull’Autonomia differenziata nel suo insieme è conforme alla Costituzione. Su singoli profili della legge attenderemo le motivazioni della sentenza, per valutare gli eventuali correttivi da apportare”, ha dichiarato dopo la sentenza il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli, promotore della legge.
“La stessa Corte – prosegue Calderoli – nel suo comunicato invita ad assicurare la piena funzionalità della legge e riconosce che l’autonomia differenziata ‘deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini’. Sono esattamente gli obiettivi che vogliamo realizzare e che realizzeremo. Detto ciò, la sentenza non incide sul lavoro che stiamo portando avanti con i negoziati avviati con le regioni, che proseguiranno nelle prossime settimane”.
Autonomia differenziata, che ne sarà del referendum abrogativo?
Lo scorso luglio le forze d’opposizione – dopo aver raccolto le 500mila firme necessarie – avevano depositato alla Corte di Cassazione un quesito referendario per abrogare la legge. I quesiti dovranno superare il vaglio della Cassazione e della Corte costituzionale.
Ma dopo la sentenza della Consulta di ieri, la spinta referendaria potrebbe aver perso in parte di senso: i punti maggiormente contestati, infatti, sono proprio quelli su cui i giudici di legittimità hanno chiesto correzioni al Parlamento.
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