“Sappiamo come sono andate le cose in merito ai 108 migranti soccorsi dalla nave italiana Asso 28 e riportati in Libia, abbiamo ascoltato le conversazioni con la Guardia Costiera libica, e a noi non è stato dato modo di prestare soccorso”.
Riccardo Gatti, capo missione della Open Arms, la nave della Ong spagnola Proactiva Open Arms attualmente presente nel Mediterraneo, ha raccontato in esclusiva a The Post Internazionale (TPI.it) quale sia stato il fumoso susseguirsi degli eventi che hanno portato il cargo della compagnia Augusta Offshore Spa a soccorrere 108 migranti e a riportarli a Tripoli.
La Asso 28, nave di supporto a una piattaforma petrolifera, è stata coinvolta nelle operazioni di soccorso di un gommone con 108 persone a bordo. È la prima volta che una nave italiana interviene e riporta i migranti a Tripoli. Valerio Nicolosi, reporter italiano, si trova in questo momento a bordo della Open Arms e da ormai nove giorni tiene un diario di bordo in cui racconta e documenta ciò che vede.
Nel caso del soccorso di Asso 28, come avviene ormai da settimane, la sala operativa di Roma ha dato indicazioni di coordinarsi con la Guardia costiera libica e, prese a bordo le persone, la Asso 28 ha seguito le indicazioni e le ha sbarcate nel porto di Tripoli.
Ma secondo Riccardo Gatti, le cose non sono state proprio così semplici: “Ci sono stati diversi gommoni da soccorrere, per uno dei quali ci è arrivato un messaggio non direttamente dalla guardia costiera italiana, ma da radio Malta, è una procedura standard. Purtroppo poi abbiamo saputo di altre imbarcazioni da soccorrere come comunicato da un aereo di una ong francese che ha avvisato l’Italia ma anche noi”.
“Purtroppo l’Italia non esiste più a livello di coordinamento di soccorsi perché si sta cercando di dare autorità alla guardia costiera libica, e loro non ci passano nessuna informazione, non coordinano nessuna operazione di salvataggio, tentano di tenerci fuori da tutto”, spiega Gatti.
“Di loro non possiamo fidarci, una volta dicono che ci sparano, una volta ci hanno anche sparato. Ieri abbiamo cercato di arrivare alle imbarcazioni da soccorrere, abbiamo sentito le conversazioni tra la guardia costiera libica e la Asso 28, da lì abbiamo capito che si stava mettendo in atto un respingimento”.
Dopo il messaggio di Malta abbiamo provato a contattare la Guardia Costiera italiana, per capire qualcosa, ma loro ormai sanno poco-niente, ci hanno solo detto che sapevano che i libici si stavano incaricando di un soccorso, abbiamo cercato di chiamare i libici sui 4 numeri di telefono ufficiali per il soccorso: 1 non funzionava, 1 era staccato, 1 non rispondeva,1 non parlavano inglese”.
“C’è da dire”, prosegue Gatti, “che la marina libica ci ha dato indicazioni di un barchino da soccorrere che guarda caso era in posizione opposta da dove noi ci stavamo dirigendo grazie alle informazioni confermate dall’aereo francese. Ci hanno mandato a 35 miglia di distanza. Sappiamo già che era una menzogna, un’azione diversiva nei nostri confronti, perché già in passato è successo”.
“Quando ci coordinava la guardia costiera italiana avevamo chiaro lo scenario, adesso gli italiani ormai non ci dicono più niente”.
“Le attività di soccorso si sono svolte sotto il coordinamento della Guardia Costiera libica che ha gestito l’intera operazione”, dichiarano a TPI dalla Guardia Costiera Italiana.
Respingimento in mare: sì o no
La Guardia costiera italiana sostiene inoltre che il salvataggio è avvenuto in acque Sar libiche.
Ed è questo il punto fondamentale che potrebbe determinare o meno il primo caso di respingimento in mare in violazione della legislazione internazionale che garantisce il diritto d’asilo e che non riconosce la Libia come un porto sicuro in cui, secondo la convenzione di Ginevra, devono essere sbarcati i migranti soccorsi.
Nessuno dei migranti riportati a Tripoli, infatti, ha avuto la possibilità di chiedere asilo come garantito dalla legge.
Nelle scorse settimane la portavoce del Consiglio d’Europa aveva ribadito che “nessuna nave europea può riportare migranti in Libia perché contrario ai nostri principi”.
“Se il soccorso è stato coordinato dalla guardia costiera libica, in zona Sar libica, e quindi avvenuto sotto la sovranità libica, qual è la responsabilità del nostro stato?”.
Il quesito lo pone Alessandro Zampone, avvocato e docente di diritto della Navigazione all’università La Sapienza di Roma.
“La nave italiana che deve rispondere a un centro di controllo Sar libico può riportare i migranti a Tripoli. Nel momento in cui la Libia assume il coordinamento come autorità Sar, il comandante della nave deve rispettare le indicazioni che riceve”.
“Al contrario ci potrebbero essere delle responsabilità se fosse intervenuta la Guardia Costiera italiana. Ci può essere l’apertura di una procedura davanti alla corte europea dei diritti dell’uomo, ci sono dei precedenti di questo tipo, con deferimento alla Libia”.
Sul caso è intervenuto Nicola Fratoianni, deputato di Liberi e Uguali (LeU), che si trova da giorni a bordo della nave della Open Arms.
“Non sappiamo ancora se questa operazione è avvenuta su indicazione della Guardia Costiera Italiana, ma se così fosse si tratterebbe di un precedente gravissimo, un vero e proprio respingimento collettivo di cui l’Italia e il comandante della nave risponderanno davanti ad un tribunale”.
“Italia protagonista del primo respingimento in mare, grazie al governo giallo-verde. Non era mai accaduto: per l’Arci si tratta di “un fatto senza precedenti in violazione della legislazione internazionale che non consente i respingimenti di massa, garantisce il diritto d’asilo e non riconosce la Libia come un porto sicuro, gli unici in cui, secondo la convenzione di Ginevra, devono essere sbarcati i migranti soccorsi”.
Viene quindi ricordato che “già il governo italiano è stato condannato nel 2009 (caso Hirsi) per la violazione del principio di non respingimento (non refoulement) previsto dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra. Ma coerente con la linea dura verso i migranti che tanti consensi gli ha portato, il ministro dell’Interno espone l’Italia a una nuova, certa condanna con le relative pesanti conseguenze, anche economiche”.
Secondo Gatti della Open Arms, la zona Sar libica non è ancora ben ufficializzata e non è ancora stato dichiarato Tripoli come porto di sbarco sicuro. Fino a quel momento la Libia non è un porto di sbarco sicuro e riportare i migranti a Tripoli equivale a un respingimento e a una violazione della legislazione internazionale.
A fine giugno, l’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) ha ufficiale dichiarato la zona di Search and Rescue (SAR) libica è stata ufficializzata.
Rimangono però molte questioni aperte. Prima di tutto è da capire la legittimità della creazione di una zona di ricerca e soccorso libica.
Lo scorso maggio, il Tribunale del Riesame di Ragusa ha rigettato il ricorso della Procura contro il dissequestro della nave dell’Ong spagnola Proactiva Open Arms, che aveva rifiutato di consegnare le persone salvate alle autorità libiche, affermando che “La Libia non è un approdo sicuro quale delineato dal diritto internazionale”.
Un tribunale italiano ha dunque stabilito che la Libia non può essere considerato POS (Place of Safety), luogo sicuro in cui trasportare persone salvate dall’acqua.