“La Lombardia ha avuto mezzo milione di contagiati diagnosticati (un cittadino su 20) e oltre 25mila morti (un terzo dell’intero Paese). Potrebbe pure smettere di dare lezioni a vanvera e di pretendere ciò che non merita”. A sostenerlo è il giornalista Mario Ajello in un articolo pubblicato ieri sul Messaggero.
Il commento si lega alla notizia riguardante la vicepresidente e neo assessore al Welfare della Regione Lombardia Letizia Moratti e la sua richiesta al commissario per l’emergenza Domenico Arcuri di distribuire il vaccino tra le Regioni italiane anche in base al Pil.
“Una Regione il cui indice di pericolosità mal gestito (…) è diventato purtroppo proverbiale anche agli occhi del resto d’Europa – gettando nel discredito internazionale l’intera Italia – pretende insomma di essere premiata in campo vaccinale e questo davvero suona come una provocazione”, scrive Ajello.
“Il Nord che non ammette la sua sciagurata prova di inettitudine e vuole accaparrarsi più dosi di siero anti-Covid degli altri”, prosegue, “è figlio di quella visione anti-italiana di una separatezza in mancanza di virtù, di un menefreghismo particolaristico che fa a pugni con l’esigenza di procedere uniti, perché senza unità l’Italia torna ad essere un’ ‘espressione geografica’ come voleva Metternich (che comunque non era Gallera o quelli come lui) e come pretenderebbe lo sguardo corto leghista o para-leghista o regionalista nel senso peggiore della parola”.
Ieri Letizia Moratti è intervenuta per spiegare le sue intenzioni. “Non ho mai pensato di declinare vaccini e reddito”, ha detto nell’aula del Consiglio regionale. “Il Pil è un indicatore economico-finanziario che attesta l’attività in una Regione, che, questo sì, ho detto, è il motore dell’Italia. In questo senso questa Regione ha la necessità di essere tenuta in considerazione, non parlo di piano vaccini ma di zona rossa”. Ma le polemiche contro di lei non si sono placate.
“La Lombardia ha preso tutto in questi decenni”, scrive ancora Ajello, riferendosi a “energie creative, lavoro, trasferimenti di fondi dallo Stato centrale”. Ma “non basta una puntura a risolvere tutto”, sostiene. “Serve non essere stati quello che la Lombardia è stata finora e non vuole smettere di essere. Una palla al piede che si vive come un’eccellenza che non è”.
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