Arianna Furi, la più giovane della direzione Pd passata a Italia Viva
Si chiama Arianna Furi, ha 21 anni, ed è entrata nella direzione del Pd quando ne aveva 19, scelta da Renzi insieme ad altri 19 ragazzi per varcare con lui la soglia del Nazareno.
Ha deciso di seguire Renzi sin da piccola perché era l’unico politico di cui capiva i discorsi in Tv.
Così nel 2011 si è presentata tutta sola alla sede del comitato nazionale di Renzi a Piazza delle Cinque Lune, a Roma, e lui le ha aperto le porte della politica.
Otto anni dopo l’ha chiamata ad animare il palco della Leopolda a poche settimane dall’uscita dal Pd, che lei e gli altri giovani di “Millennials”, l’associazione che Arianna ha fondato nel 2017, non hanno esitato ad appoggiare.
“A 14 anni avevo provato a entrare in un circolo Pd vicino casa mia a Roma, ma il segretario mi disse di andare via a fare le cose che fanno i giovani. Io uscii sconvolta. Ancor prima di chiedermi cosa ne penso mi mandi già via?”, racconta Furi a TPI.
“Una settimana dopo ho fatto la stessa cosa bussando alla porta del comitato nazionale di Renzi e ho trovato un clima opposto. Una squadra di persone che ha visto nella mia giovane età un punto di forza. Hanno pensato di dare valore alle mie idee”.
Pensavo che la politica dovesse cambiare linguaggio. Era assurdo che io, che di talk show politici me ne sorbivo un sacco, avessi capito solo i discorsi di Renzi. Bisognava trovare una sintesi tra il parlare semplice e non cadere nel banale. La vera sfida è rendere accessibile a tutti tematiche complesse che, riguardando tutti i cittadini, devono essere comprese da tutti.
Il problema è che oggi il mondo si è rovesciato. La chiave vincente, e lo dicono anche gli esperti di comunicazione, è trovare slogan prima ancora di trovare contenuti. È orribile ma si vince così. E la cosa che dicevo sempre quando ero nel Pd era che noi i contenuti ce li avevamo, facevamo tante belle battaglie che non eravamo in grado di comunicare.
E mi chiedevo, possibile che facciamo vincere chi non ha contenuti, solo perché sa comunicare? Le cose che avevamo da dire restavano tra noi perché non eravamo in grado di raccontarle. E se facevi notare che era importante investire sulla comunicazione, ti rispondevano che la politica vera è quella che si fa nelle piazze.
Appunto, almeno comunica. Se il Pd non torna a comunicare, muore da solo. Nessuno lo sta sconfiggendo, si sta sconfiggendo da solo.
La prima volta che sono intervenuta in direzione l’ho fatto portando la proposta di reintrodurre l’obbligo d’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole, quando Salvini ancora non ne parlava. Era il 2017 e lui ha iniziato a parlarne nel 2018. Mi ricordo che fu accolta benissimo, ci iniziammo a lavorare e con Valeria Fedeli e Simona Malpezzi abbiamo fatto un lavoro fantastico. Siamo riusciti a inserirla come materia di esame alla maturità e a implementare le linee guida dell’insegnamento, con argomenti obbligatori da affrontare. Abbiamo trovato un modo per invogliare i docenti a insegnarla. Ma non lo abbiamo detto a nessuno.
Se chi faceva le ospitate in Tv ogni tanto l’avesse citata come nostra battaglia, questo non sarebbe successo. Ora ho smesso di arrabbiarmi e penso “gli sta bene”. Se provavi a far notare che bisognava parlarne, ti rispondevano che c’erano cose più importanti di cui parlare.
Di certo non si parlava dell’ordine del giorno. Se il segretario annunciava un ordine del giorno, poi il dibattito verteva tutto su chi aveva detto cosa in Tv. Quel luogo che doveva essere un posto dove si decidevano le linee strategiche del partito era il posto dove si scatenavano le peggiori correnti.
Sì, e la cosa più assurda è che sull’ordine del giorno si interveniva usciti dal Nazareno, rispondendo ai giornalisti. Ma perché non si poteva parlarne durante la direzione? Perché rivolgersi al segretario da due piani più sotto? Così ho iniziato a pensare che non avesse più senso. Gli stessi zingarettiani uscivano dalla sala quando Zingaretti parlava durante le ultime direzioni. Mi sentivo presa in giro. Le linee politiche si decidevano a botte di comunicati stampa.
A livello personale devo tanto al Pd nel senso che è stata esperienza formativa, e il Pd è fatto non solo da chi ha incarichi politici, ma di altri dipendenti e persone straordinarie. Ma mi sono detta, a 21 anni che ci faccio lì dentro? Mi sono vista seduta in quella direzione tra un anno, completamente svogliata. Ho deciso di rinunciare a un incarico anche se in Italia Viva non c’è ancora niente, per seguire i miei ideali. Ho deciso di andare dove mi sento “viva”.
Siamo nati come comitato per sostenere la mozione Renzi alle primarie del 2017, con l’obiettivo di avvicinare i giovani alla politica, per rendere attrattive la cosa più noiosa del mondo, le primarie del Pd. A Matteo l’idea piacque così tanto che ci disse, in aereo verso Bruxelles, di non chiudere il comitato, di portarlo avanti. Perché era in questa generazione che voleva investire. Una settimana dopo eravamo in direzione. Su 6mila iscrizioni che abbiamo, solo 4 sono rimasti nel Pd. Credevo molti di più. Quando a un certo punto ci siamo detti di passare a Italia Viva ho pensato sarebbe successa una strage invece per noi è stato molto più rapido e indolore. Il passaggio l’abbiamo fatto prima di Matteo se è stato così veloce.
Se le idee sono valide nessuno si chiede da chi sono partite. La battaglia è valida se si è capaci di portarla avanti. Se ci pensi abbiamo fatto cambiare idea tre volte a Bonisoli su 18 app, abbiamo mobilitato 15mila persone per mantenere il bonus cultura con una petizione su Change.org. Se hai un’idea bella e valida il seguito viene da sé.
Rendere la politica un luogo in cui anche le donne possono impegnarsi. Soffrivo il fatto di fare politica in un mondo circondato di uomini. E il fatto che Matteo Renzi ha scelto come prima sfida la parità di genere prima ancora di scrivere lo statuto è una cosa che ho apprezzato tanto. Un’altra è quella di fare avere un ruolo centrale alla cultura. L’Italia dovrebbe campare solo di quello, cercare di riuscire a educare il mondo alla bellezza potrebbe rendere il nostro Paese migliore.
Ho un’opinione molto positiva di entrambe. Maria Elena combatte con una società che crede che se sei donna e anche piacente nessuno pensa che sei lì per i tuoi meriti. Io spero di avere il 20 per cento della sua preparazione una volta laureata. Teresa è una forza nella natura che ha tantissimo da insegnare a molti uomini. Ma io m’ispiro a mia madre, è lei il mio modello.
No, se ne ragionava da un po’. Matteo è stato bravo a cogliere l’occasione per realizzare un’idea che coltivava da sempre. Abbiamo iniziato a sentire un muro di gomma contro di noi un anno fa, dopo l’elezione di Zingaretti a segretario. Ma solo perché ci pensava da tanto è stato capace poi al momento giusto di lanciare l’idea in tre secondi.
Noi lo sapevamo, ma non sapevamo che sarebbe successo il 17 settembre, in quel preciso istante. Io quando l’ho saputo ero seduta sul divano e ho detto: “Ah, ok perfetto, è arrivato il momento”.