Con il diminuire delle ore che ci separano da mercoledì 20 luglio, giorno in cui Mario Draghi si presenterà alle Camere per comunicare la sua decisione dopo le dimissioni rassegnate e respinte dal capo dello Stato Sergio Mattarella, aumentano gli appelli e le pressioni sul presidente del Consiglio affinché resti alla guida del governo e porti l’Italia al voto solo alla scadenza naturale della primavera 2023.
Appelli e pressioni che potrebbero determinare l’orientamento del premier in un verso o nell’altro. “Ci sono buone ragioni per andare andare via e buone ragioni per rimanere” a Palazzo Chigi, avrebbe confidato Draghi l’altro ieri a uno dei suoi interlocutori, secondo quanto riporta Repubblica.
Un nuovo appello a Draghi per continuare ed andare avanti “perché serve stabilità” è arrivato anche dai principali leader europei. Secondo indiscrezioni non confermate, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, e la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, avrebbero scritto o telefonato al dimissionario Draghi. Anche gli Stati Uniti seguono “con attenzione tutti gli sviluppi politici a Roma”.
Ieri a farsi sentire pubblicamente sono stati i sindaci che hanno scritto una lettera aperta sulla crisi di governo in atto. “Con incredulità e preoccupazione – scrivono i primi cittadini da Milano a Roma, da Genova a Torino, passando per Firenze e Venezia – assistiamo alla conclamazione della crisi di governo generata da comportamenti irresponsabili di una parte della maggioranza. Le nostre città, chiamate dopo la pandemia e con la guerra in corso ad uno sforzo inedito per il rilancio economico, la realizzazione delle opere pubbliche indispensabili e la gestione dell’emergenza sociale, non possono permettersi oggi una crisi che significa immobilismo e divisione laddove ora servono azione, credibilità, serietà”, si legge nella lettera. E aumentano di ora in ora i sindaci che sottoscrivono l’appello. Ai primi firmatari, compresi i presidenti di Anci e Ali, si sono aggiunti i primi cittadini di grandi città come Napoli o di piccoli centri come Gualdo Tadino. Finora si contano 1000 firme.
Appello quello dei sindaci che non è piaciuto alla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. “Mi chiedo se tutti i cittadini rappresentati da Gualtieri, Sala, Nardella o da altri sindaci e presidenti di Regione che si sono espressi in questo senso, condividano l’appello perché un governo e un Parlamento distanti ormai anni luce dall’Italia reale vadano avanti imperterriti, condannando questa Nazione all’immobilismo solo per garantire lo stipendio dei parlamentari e la sinistra al governo. E – indipendentemente da chi li ha votati – mi chiedo se sia corretto che questi sindaci e governatori che rappresentano tutti i cittadini che amministrano, anche quelli che la pensano diversamente, usino le Istituzioni così, senza pudore, come se fossero sezioni di partito. La mancanza di regole e di buonsenso nella classe dirigente in Italia comincia a fare paura”, afferma Meloni.
Ai sindaci si è aggiunto il pressing del mondo della sanità, dai medici agli infermieri. “Per la sanità italiana non è il tempo di una crisi di governo al buio. A nome delle donne e degli uomini delle professioni sanitarie e sociosanitarie rivolgiamo un accorato appello all’unità ed alla responsabilità al presidente Draghi, al ministro della Salute Speranza, a tutte le forze politiche e sociali, ad ogni singolo rappresentante delle istituzioni. Non è il tempo di lasciare solo chi, da oltre due anni, con competenza e dedizione, combatte in prima linea la battaglia, ancora in corso, contro il Covid-19”, si legge nell’appello firmato dai rappresentanti delle principali professioni sanitarie.
E infine gli industriali, i quali si sono schierati con il premier. Sulla linea “Salvare Draghi, whatever it takes” Il Foglio ha sondato “alcuni pezzi da novanta del così detto partito del pil, tra imprenditori, manager, sindacalisti, associazioni di categoria”.
Leggi l'articolo originale su TPI.it