Quando domenica 30 settembre è salita sul palco di “Intolleranza Zero” in Piazza Duomo a Milano, Houda Latrech era nota alla cronaca per aver subito violenza razzista su un treno diretto a Milano.
Invitata insieme a molte altre vittime di razzismo, sessismo e omofobia a raccontare la sua esperienza, Houda ha concluso il suo intervento con una poesia intitolata “Per i tuoi liberi figli”, una poesia d’amore per l’Italia che ha ammutolito la vivace piazza, per poi commuoverla.
La potenza del suo scritto, una proprietà di linguaggio molto elevata e un certa raffinatezza nella scrittura poetica mi hanno incuriosito, tanto che ho deciso di intervistarla per farmi raccontare la sua storia e parlare di poesia, ma anche di politica e di come opporsi alla deriva razzista e violenta.
“Sono nata in Marocco, mi sono trasferita in Italia nel 2002 all’età di quattro anni e da quel momento ho sempre vissuto a Travedona Monate, in provincia di Varese. Ero talmente piccola quando sono arrivata che non mi sono mai sentita diversa dagli altri, almeno fino a quando ho iniziato a portare il velo. Mi è sempre piaciuto leggere e ho imparato velocemente la lingua, ho iniziato presto anche a scrivere, in prosa. L’impeto poetico che ho avuto però è stato recente, più o meno da quando sono stata invitata ad una maratona poetica all’ultimo Salone del Libro di Torino.
Il mio legame con la poesia è il rapporto che lega un prigioniero al suo carceriere, è il sublime che si cela e tormenta chi lo percepisce, è quella responsabilità, quell’affanno, quella scelta perpetua e continua, di sapere, trovare il confine, dove depositare il tuo fardello senza rinunciare alla tua passione, tra la salvezza e la perdizione, dove finisce la benedizione e inizia la maledizione, dove finisce il bello e inizia l’inutile, perché i poeti li seguono i perduti. Ho una passione enorme per la letteratura, in particolare per quella italiana e quella francese.
Adoro Pavese e Verlaine, ma sono anche appassionata di Goethe, Joyce, Bécquer, García Lorca, Alda Merini e, per quanto riguarda la letteratura araba, del grande Nizar Qabbani. Amo le lingue e leggo tutto in lingua originale.
Non ho ancora pensato di pubblicare le mie poesie, ma penso che lo farò presto, sperando che abbiano davvero una certa qualità. Una delle mie preferite è “In assenza della luna”:
La luna non ebbe
il coraggio di svegliarci
Si mostrò l’indomani indomata
ai nostri occhi
Specchio celeste
Spicchio di stelle
E noi le tendemmo le mani
La notte implorando
Di ricongiungerci
“Per i tuoi liberi figli” è una poesia dolce e cruda allo stesso tempo: è quello il sentimento che provo per l’Italia, un amore che rifiuta di sposarmi.
C’è un evidente problema di intolleranza crescente nei confronti del diverso, ma io sono per la soluzione culturale. Dopo l’aggressione mi sarebbe piaciuto parlare con quell’individuo e capire cosa lo avesse spinto a fare una cosa del genere. Spesso mi sento dire: “Non ero razzista, solo non pensavo che ci fossero delle persone come te”. Ma io non faccio parte di nessuna elité, sono una persona normalissima. A volte basta conoscere le persone per abbandonare i pregiudizi.
Certo non puoi forzare qualcuno a interessarsi di un qualcosa che rifiuta dall’inizio, ma si potrebbe lavorare nelle scuole. È nelle scuole che si forma il pensiero delle persone. Visto che sulla famiglia non si può avere influenza è dalle scuole che si deve partire.
Io sono stata rappresentante di istituto e della Consulta Studentesca e so che se si fanno assemblee di istituto valide si possono raccogliere dei buoni frutti. Poi abito a Varese, dove ci sono forti rappresentanze dei Giovani Padani, per esempio, ma credo che anche con queste persone dia più risultati il dialogo che lo scontro. Forse sono ancora troppo ottimista, forse ho una fiducia smodata nello Stato di Diritto, ma è questo che penso.
Uno dei modi per combattere una deriva razzista in Italia è innanzitutto quello di smetterla da entrambe le parti con la retorica del noi e del loro, non identificare la sinistra con i migranti e la destra con la protezione degli italiani.
Certamente l’immigrazione esiste, è reale, tangibile, ma è una sfida, che bisogna affrontare e non far finta che non esista oppure decidendo arbitrariamente di chiudere i porti.
La sinistra non deve porsi come opposto alla difesa degli italiani, bisogna lavorare sui problemi di base, sulla povertà sentita in tutti gli ambiti, al posto di deridere semplicemente le manovre populiste che rimangono ambite perché sentite evidentemente come necessarie.
Jean Paul Sartre diceva: “Se sono di fronte alla Gioconda ma ho male a un occhio, prima di contemplare la bellezza del quadro mi preoccupo del dolore che provo”. I valori sono certamente importanti, ma se non vengono ascoltate le primarie necessità di un popolo si finisce in mano al populismo più becero.
Non sono per un’opposizione solo per fare opposizione, in certi casi preferisco un dialogo anche politico, piuttosto un compromesso che un andarsi contro a vicenda aumentando il divario tra le due frangenti di popolazione che si stanno delineando sempre in modo più marcato, a ricordare un passato sicuramente non lieto.
Bisogna uscire dal dualismo che considera tutti gli esponenti di destra ignoranti e tutti quelli di sinistra buonisti. Per esempio, io sono una delle più grandi fan di Roberto Saviano, ma non mi piace il modo in cui sta facendo opposizione ora, potrebbe essere necessario più avanti, ma non credo sia adesso il momento giusto.
Non dico di sopportare, assolutamente, ma siamo in uno stato di diritto, e secondo i principi della democrazia non c’è stato nessun colpo di stato ad aver messo al potere Salvini e i suoi. Bisogna ascoltare chi li ha votati e capire perché, dove siano le lacune, e come sia possibile colmarle.
Certo mi capita di barcollare, di chiedermi cosa sto ancora facendo qui, perché aspettare che il mio futuro si distrugga qui davanti ai miei occhi. E in effetti, ultimamente, tutti i limiti sono stati varcati.
Per esempio il decreto Salvini approvato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri è stato un duro colpo per me, perché allunga il procedimento per avere la cittadinanza a quattro anni, che pure è forse la cosa meno grave in quel decreto. Ma erano quasi esauriti i due anni e a mesi avrei dovuto prendere la cittadinanza italiana”.
SQUILIBRI
Più volte per non restare
Ginestra incolta
Nel prato l’ultima rimasta
Mi son finta
Come le mie compagne
Rosa divelta
E ho tesi i petali al vento
Inclemente a ogni lamento
Sperando di ricevere della primavera
Il fertile bacio
E di piacere i miei semi
Al temibile maggio
Invidiosa della lussuria
Di mani di amanti
E dita di leggiadri diamanti
Ma non mi bastava l’acqua
Di un vaso stretto attorno al collo
Non mi bastava lo zucchero
Contraffatto nutrimento
Non mi bastavano le carezze
E le parole di chi ama soltanto
Fiori in vetrina
Petali in rovina
E l’annientamento in vasi di cristallo
Di un segreto colto in cuori di corallo
Ché in me viveva tutto il campo
E ‘l profumo non persiste
In uno strappo di tempo
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