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    L’aggressione del Cinema America ci insegna che siamo un Paese con un serio problema di democrazia

    Illustrazione di Gianluca Costantini
    Di Giulio Cavalli
    Pubblicato il 17 Giu. 2019 alle 18:37 Aggiornato il 18 Giu. 2019 alle 09:04

    Aggressione Cinema America | Gli antiantifascisti che non vogliono essere chiamati fascisti colpiscono ancora, a Roma, zona Trastevere e aggrediscono quattro ventenni in zona Trastevere. Ovviamente dieci contro quattro, con bottiglie e altro, perché non tutti i vigliacchi sono fascisti ma è storicamente provato che tutti i fascisti sono vigliacchi.

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    Ora vediamo chi alza la mano a dirci ancora che non c’è un ritorno di violenza e di sdoganamento del fascismo, vediamo chi ha il coraggio di dirci che indossare la maglietta del Cinema America, a Roma, sia un provocazione, sono curioso di ascoltare tutti quelli che insistono nel dirci che non c’è ideologia in questi raid di codardi che stanno infestando l’Italia come mai prima, in un Paese in cui essere antifascisti è diventato addirittura controcorrente, nonostante la nostra Costituzione.

    E il punto non sono tanto quella decina che hanno pestato questi quattro ma il nugolo di decine che si aggira per l’Italia con i denti sbrodolanti di rabbia e con la netta sensazione che siano garantiti da un’impunità culturale dovuta a uno sdoganamento che arriva da molto in alto.

    Ha ragione il presidente del Consiglio Conte quando parla di un gesto “gravissimo” e di “episodio aggravato da intolleranza ideologica”, ma ci piacerebbe sapere proprio da lui, che siede sullo scranno che gli permetterebbe di farlo, se non sia il caso di ammonire chi, al governo, usa lo squadrismo (che sia digitale o fisico) come arma di contrapposizione politica.

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    Aggressione Cinema America |  Perché il punto è tutto politico: un Paese in cui il dissenso (e essere antifascisti oggi è considerato un gesto di dissenso) viene punito con botte, irrisione e violenza fisica e verbale è un Paese che ha un serio problema con la democrazia, con la convivenza civile e soprattutto con la sicurezza dei cittadini di manifestare apertamente le proprie idee.

    Allora sarebbe da chiedere a Salvini, ministro che si dovrebbe occupare anche di sicurezza tra un suo viaggio elettorale e altro, se considera sicuro un Paese in cui si prendono le legnate se non si è eterosessuali, bianchi e assolutamente sdraiati sulle posizioni politiche della maggioranza.

    Mi piacerebbe sapere, dal ministro dell’Interno, cosa ha da dire ai genitori di questi ragazzi, lui, da padre, che sono tornati a casa fracassati mentre camminavano tranquillamente nella loro città. È normale? È da Paese sicuro? Perché la politica ha l’obbligo di spiegarci se siamo noi che troviamo inaccettabile, se stiamo sbagliando qualcosa oppure se davvero quest’aria mefitica ha bisogno di prese di posizione consistenti e di un bell’esame di autocoscienza. Ma, vedrete, non arriveranno risposte. Niente.

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