Era il 15 novembre quando John McDonnell, braccio destro di Jeremy Corbyn e shadow chacellor del Labour Party, annunciava il piano di offrire una connessione internet rapida e gratuita all’intera popolazione britannica qualora il partito avesse vinto le elezioni del 12 dicembre.
La storia la conosciamo tutti: dopo una campagna elettorale disastrata e una strategia elettorale da molti contestata (in particolare l’ambiguità su Brexit), il Labour Party ha conseguito la più grossa sconfitta dalle elezioni del 1935. Tutte le proposte, come tutte le polemiche, sono state completamente oscurate dall’entità della sconfitta e messe nel ripostiglio. Eppure, la proposta della “free broadband for all” va rispolverata e riconsiderata, unica stella di una campagna elettorale mediocre. D’altronde, era una delle poche proposte dei Labour che godeva di ampia approvazione nell’intera popolazione, con il 62 per cento di consensi contro il 22 per cento di oppositori.
L’idea è semplice: ormai internet ed i social media sono talmente pervasivi da essere una componente essenziale e necessaria della vita quotidiana, non più un optional. La connessione non garantisce solamente l’accesso facilitato ad alcuni beni (pur sempre essenziali) quali un conto in banca, pagamento delle bollette, conoscenza quasi illimitata, svaghi e notizie da tutto il mondo. Intere comunità si sono trasferite in rete, molte delle quali sparirebbero senza. I dispositivi digitali non sono più semplici accessori, ma bensì un’estensione ormai biologica del nostro corpo e parte costituente del nostro modo di interagire. Nella società digitale, quella di adesso, l’individuo non è online poiché esiste, ma esiste poiché è online. Essere connesso è una prerogativa dell’uomo per poter adempiere e svolgere le proprie funzioni primarie. Nell’era dell’umanesimo tecnologico, la connessione è un diritto.
In Italia la situazione è grave: siamo tra gli ultimi paesi europei per accesso alla banda larga per famiglia e solo il 70 per cento degli italiani dispongono di una connessione internet. Questo significa che circa 18 milioni di persone in Italia non sono, e non posso essere, online. Questa dovrebbe essere una priorità per un governo progressista che si interessi di inclusione sociale: garantire all’intera popolazione l’accesso alla rete, veloce e gratuita.
La crisi del coronavirus non ha che esasperato questo concetto. Gli strumenti digitali permettono ai molti di svolgere una vita relativamente stabile anche da casa, anche da soli. Pensate in che situazione saremmo senza l’accessibilità alle notizie in tempo reale, la condivisione di sentimenti e momenti, la possibilità di coltivare nuovi o vecchie abitudini. Eppure, le forti disuguaglianze in termini di accesso alla rete si trasformeranno in disuguaglianze sociali. Le classi ricche e più abbienti, con connessione migliore, potranno accedere ai servizi digitali più facilmente, progredendo economicamente, lavorativamente, socialmente. Le classi povere invece, con connessione lenta ed assente, saranno destinate a rimanere indietro, accentuando ancor più le disuguaglianze che permeano la nostra società. L’unica soluzione è un accesso alla rete equo, gratuito e garantito, la connessione di cittadinanza.