Nicola Zingaretti getta la spugna: “Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno – scrive a sorpresa in un post al vetriolo su Facebook – che nel Pd, partito di cui sono segretario, da venti giorni si parli solo di poltrone e primarie”. Parole mai sentite nella bocca di un segretario. Una scudisciata senza appello. Un j’accuse che è l’esatto opposto di quello che fece Walter Veltroni al Tempio di Adriano, quando lasciò la carica senza indicare responsabili.
Zingaretti, invece, fa nomi e cognomi, sbatte la porta, e forse potrebbe addirittura candidarsi a sindaco a Roma. L’idea che, dopo questo gesto, il Pd possa tornare un partito contendibile e addirittura scalabile dagli ex renziani può solo far venire i brividi.
“Mi vergogno – scrive – che questo accada quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni”.
È una piccola bomba atomica, un Big Bang destinato a cambiare, in un senso nell’altro, gli equilibri precari su cui fino ad oggi si era retto il Partito democratico. Adesso si prospetta una reggenza (quella del vice, Andrea Orlando) e un Congresso con il coltello tra i denti fra la destra e la sinistra interna.
Ancora dal post del segretario: “Sono stato eletto proprio due anni fa. Abbiamo salvato il Pd e ora ce l’ho messa tutta per spingere il gruppo dirigente verso una fase nuova. Ho chiesto franchezza, collaborazione e solidarietà per fare subito un congresso politico sull’Italia, le nostre idee, la nostra visione”.
“Dovremmo discutere di come sostenere il Governo Draghi – scrive Zingaretti – una sfida positiva che la buona politica deve cogliere. Non è bastato”.
Per una volta non c’è retroscena, è tutto squadernato in questo messaggio di addio, senza filtri o censure: “Mi ha colpito invece il rilancio di attacchi anche di chi in questi due anni ha condiviso tutte le scelte fondamentali che abbiamo compiuto. Non ci si ascolta più e si fanno le caricature delle posizioni. Ma il Pd – aggiunge Zingaretti – non può rimanere fermo, impantanato per mesi a causa in una guerriglia quotidiana. Questo, sì, lo ucciderebbe”.
Hanno pesato gli attacchi continui sui giornali, l’isolamento, il fatto che nel tempo del Covid la politica rischi di diventare solo congiura di palazzo. Altro che ologramma.
Una invettiva di queste proporzioni non può che creare un pandemonio. Da mesi Zingaretti aveva dato segnali di insofferenza, rinunciando anche ad avere suoi uomini nel governo, combattendo la “correntite” dei vertici.
Poi si è arrivati, nelle ultime ore, al casus belli: con i Lotti e i Guerini c’è stato il duello sulla vicesegretaria. Zingaretti che voleva nominare una donna a lui vicina (Cecilia D’Elia) e i signori delle tessere, che pretendevano un loro nome, per condizionare le scelte. Contestavano la linea del segretario e la strategia di un accordo giallorosso.
Adesso salta tutto, con un leader che dice “Il re è nudo” e se ne va sbattendo la porta. Adesso, nel Pd, è tutti contro tutti: “Visto che il bersaglio sono io, per amore dell’Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità. Nelle prossime ore scriverò alla Presidente del partito per dimettermi formalmente”. Auguri.
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