La 14esima edizione di X Factor è iniziata. Ne avevamo già parlato in queste pagine dopo la prima puntata con un titolo profetico: la nuova stagione di X Factor è un disastro. Ora che siamo arrivati ai live potremmo passare direttamente all’ecatombe, ma preferiamo darvi i punti per cui vale la pena (non) seguire X Factor. (Se la parentesi debba o meno avere valenza lo deciderete voi tra qualche minuto).
• Il primo elemento da notare è la scelta (giusta) di partire con gli inediti, lanciati oggi in tutte le piattaforme sotto il nome di “X factor Mixtape”. Diciamolo subito: questa roba non è un mixtape, ma è indubbio che l’utilizzo del nome sia stato fatto per cercare di sfruttare il successo dei progetti “Machete”, dominatori da anni delle classifiche. I mixtape sono, appunto, tutta un’altra cosa in termini di coesione, di stile, di interessi, poi l’aver coinvolto nomi come Frenetik&Orang3, Slait, Young Miles e Strage è tanta roba sia chiaro e, almeno, porta questo show nella contemporaneità (quindi magari per quest’anno rischiamo di non vedere un Licitra vincitore) ma sul detto “il talento al primo posto” siamo ancora lontani.
• X Factor è rimasto l’ultimo baluardo della comunità LGBT italiana. Mentre nel nostro Parlamento alcune facinorose anticaglie lottano contro l’approvazione della legge contro l’omofobia; mentre nel circo di Maria la Sanguinaria De Filippi è pronta ad arrivare la sovranista (nonché amica delle sentinelle in piedi) Lorella Cuccarini, è ineludibile il fatto che ormai X Factor sia l’ultimo fortino rimasto ai ragazzi fieri di esprimere sé stessi. Peccato che Blue Phelix (che vi assicuriamo non essere parente di Blu Jerusalema, l’ereditiera Vacchi), che dovrebbe rappresentare la fiera rottura degli stereotipi, sia poi il più trattenuto e banalotto di tutti. Ce lo insegnava pure Ambra in tempi non sospetti: “Se prometti, poi mantieni”. Quindi, Blue, ricorda: ci sono grandi aspettative su di te, vedi di non disattenderle.
• La caposquadra di Blue Phelix è Emma (il cui giudizio è “in un mondo in cui tutti professano di essere se stessi, in te trovo il coraggio di essere te stesso fino in fondo”… praticamente una supercazzola), che deve ancora metabolizzare il passaggio da Amici a un talent veramente musicale. Di musica infatti non parla mai: “Hai un cuore grande quanto i tuoi occhi”, “La cosa che mi ha più colpito di lui è la verità”, “Grazie perché sei stato tu”, “Su quel palco ho visto la tua anima” insieme a un profluvio di “Ti voglio bene”, “Tanto amore per te” e richieste di conferme manco fosse al Collegio: “Ho detto cose giuste?”
Intendiamoci: non che dagli altri giudici tiri aria migliore. Mika esegue il suo solito compitino ben fatto: i sorrisini, gli ammiccamenti, le parole sbagliate per ridere (copione iniziato con Willy Willy e i giochi sul cognome di Roberta Pompa, qualche anno fa e da lì perennemente ripetuti). Vedendo la sua squadra viene da dire che la musica sia un’altra cosa, ma questo ce l’aveva già fatto capire lui cantando quest’estate la cover di Mango di “Bella d’estate”. Hell Raton gigioneggia sulle sue competenze e Manuel Agnelli… Beh, cosa vogliamo dire di uno che è andato via due anni fa sbattendo la porta dicendo peste e corna del programma in ogni intervista e poi si ritrova al primo live a dire “questi tre pezzi sono i tre inediti migliori mai apparsi a X Factor”? (di cui uno era quello poi finito a rischio eliminazione).
• I concorrenti meritano un capitolo a sé: spiccano abbastanza nettamente i Melancholia, che personalmente mi ricordano un po’ un misto tra i Cranberries e gli Hooverphonic dei tempi d’oro, delude un po’ CasadiLego, (favoritissima all’ingresso e ora pronta per la sindrome Martina Attili, per la quale entri Papa ed esci Cardinale) e VERTO, un wannabe Mahmood che non ce l’ha fatta.
Per il resto vorrei sgonfiare anche alcune grida al “capolavoro e genio” lette dei miei colleghi (più che dalla gente comune). I Little Pieces of Marmalade e il loro sano e disturbante rock non sono una novità ad X Factor: ci furono già i The Bastard sons of Dioniso, oltre 10 anni fa. E NAIP: uno per cui sono stati sprecati paragoni con le avanguardie del ‘900, i surrealisti, i dadaisti, il teatro tedesco dimenticandosi che la bravura va anche commisurata al contesto: ve lo vedete Brecht che gareggia per essere definito l’erede di Mengoni o di Giusy Ferreri? Per così dire: anche meno.
• Chiuderei con un piccolo excursus sugli ascolti: il primo live ha fatto il 3,6 per cento di share contro il 3,5 dello scorso anno (stagione che venne definita disastrosa in termini di ascolti) , il 5,4 dell’anno prima e il 7 del 2017. Ecco: leggendo questi dati mi è venuto in mente un vecchio detto: meglio una fine spaventosa che uno spavento senza fine.