Virologi sull’orlo di una crisi di nervi. Uno di loro, Ranieri Guerra, rappresentante italiano nel’Organizzazione mondiale della sanità (dopo aver pronosticato una “seconda ondata” di Covid che potrebbe essere peggiore di quella della Spagnola del 1919), ieri ha lasciato un commento di fuoco nella pagina del collega Massimo Clementi, da cui è diviso nell’interpretazione dell’epidemia: “Barone di merda, torna nelle fogne”. Alé. Un altro protagonista di questi giorni, il professor De Donno – lo ha pizzicato Selvaggia Lucarelli su TPI – viene lodato per la terapia al plasma sulla sua pagina Facebook da un fantomatico biologo di Atlanta che (casualmente) risponde al suo stesso numero di telefono.
Non sono che gli ultimi due esempi di una folgorante e variopinta galleria di querelles, bisticci, litigi. C’è dunque una categoria professionale che più di tutte è stata messa a dura prova dal virus, ed è quella composta da coloro che il virus lo dovrebbero curare. Ed ovviamente bisogna sempre distinguere le responsabilità individuali, bisogna sempre evitare le generalizzazioni in astratto (“i giornalisti”, “i politici”, “medici”), ma non c’è dubbio che tutti i virologi siano oggi sottoposti a particolare stress perché sono passati – senza soluzione di continuità – dalle provette e i microscopi elettronici dei laboratori ai camerini e alle telecamere degli studi televisivi.
Quell’overdose di televisione e visibilità che un concorrente del Grande Fratello metabolizza in una stagione loro l’hanno assorbita in un mese, con tutti i contraccolpi e gli effetti collaterali che questo comporta. Il punto è che l’emergere dei narcisisimi, delle rivalità e dei conflitti sarebbe del tutto fisiologico e sopportabile, se in questo momento una parte della categoria (li chiamerò “i negazionisti”, perché hanno provato a negare ostinatamente l’abbattimento della carica virale) non avesse deciso di muovere guerra ad un’altro gruppo, costituito da coloro che hanno firmato una lettera appello (d’ora in poi li chiameremo “empiristi clinici”) proprio per spiegare che le condizioni del contagio – almeno in questo momento – sono cambiate, e che quindi devono cambiare anche le regole, le profilassi, e il distanziamento sociale.
Cosa hanno scritto nella loro lettera gli “empiristi “, che ha fatto insorgere i “negazionisti”? Che dalla loro osservazione clinica risulta un dato clamoroso: le terapie intensive si sono (per ora) svuotate, non arrivano più (per ora, grazie a Dio) malati gravi, non si riesce più nemmeno ad isolare il virus, tanto è bassa la carica virale negli ultimi pazienti infetti. Il documento, firmato da dieci scienziati che si definiscono “scientificamente indipendenti”, era intitolato “Sars-CoV-2 in Italia oggi e Covid-19”.
Secondo questi dieci medici, capitanati dal carisma mediatico del professor Alberto Zangrillo, esistono “ormai pochi sintomi” del virus, e chi contrae oggi il Covid 19 correrebbe un bassissimo rischio di aggravarsi perché il Coronavirus avrebbe una carica virale più debole, quindi meno contagiosa. Insieme a Zangrillo hanno sottoscritto il manifesto dei “pragmatici” studiosi come Matteo Bassetti, Arnaldo Caruso, lo stesso Clementi, Luciano Gattinoni, Donato Greco, Luca Lorini, Giorgio Palù, Giuseppe Remuzzi e Roberto Rigoli. In pratica un plotone rappresentativo di quelli che – al contrario dei teorici – il virus lo hanno guardato in faccia e lo hanno conosciuto, morto dopo morto, nei loro reparti.
Se la loro tesi passasse, bisognerebbe rivedere molte delle misure di distanziamento che in questi giorni continuano a provocare problemi enormi alla società italiana, a partire dall’incredibile vicenda del distanziamento nella scuola (e dalle conseguenze di impraticabilità didattica che comporta). Ecco perché le tesi proposte da questi esperti non sono condivise da chi in questi mesi è diventato custode del “verbo” ortodosso: in primo luogo il Comitato tecnico-scientifico (che continua a normare sul territorio nazionale condizionando il ministero della Sanità, di cui formalmente è organo consulente) e molti altri scienziati legittimamente convinti che “abbassare la guardia” (come dicono loro), soprattutto adesso, possa essere molto pericoloso.
Tra questi c’è Guerra, come abbiamo visto, ma anche il presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli (anche lui membro del Comitato tecnico-scientifico) che ha supportato il governo durante l’emergenza sanitaria e Massimo Galli (direttore del dipartimento di malattie infettive del Sacco di Milano), la cui parola d’ordine resta ancora “estrema cautela”.
Per questo i “negazionisti” sono portati a negare (in senso tecnico) le prove e le analisi che “i pragmatici” portano a sostegno dei loro ragionamenti. Galli, ad esempio, incorse in un infortunio ospite da Lilli Gruber, quando, per minimizzare lo studio di Clementi (virologo del San Raffaele e punta di diamante dei “pragmatici”) sostenne: “Il suo studio sull’attenuazione del virus parte da una constatazione banale: anche l’ultimo dei miei studenti sa che se misuro la carica virale nel tampone di uno che si è appena ammalato, troverà quantità enormemente più forti, che se mi metto a misurare la carica virale di quel paziente alla fine della malattia”.
Galli, in questa sintesi volutamente minimale e parodistica, dava l’impressione non aver capito (o di fingere di ignorare) l’intuizione da ricercatore di laboratorio avuta da Clementi. Lo studioso del San Raffaele, infatti, non aveva (come sosteneva Galli) misurato in due diversi momenti la carica virale degli “stessi” malati con due diversi tamponi, ma aveva invece fatto molto di più. Grazie alla banca dati del San Raffaele aveva costituito due diversi campioni di cento malati, assortiti con metodo scientifico per fascia anagrafica, sesso, condizione. Il primo campione dunque era costruito “ex post” tra i malati della fase “calda”. Il secondo tra i malati degli ultimi mesi. Questo ha prodotto una comparazione in cui il virus appare oggi 700 volte meno forte che nella fase calda.
Ed ecco perché l’apparente querelle personale con cui ho volutamente aperto questo articolo (come spesso capita) non è un semplice schizzo di umor nero, ma è figlia di questa disputa accademica, scientifica, e addirittura umana. Lo scontro fra “pragmatici” e “revisionisti” si colora con le tinte del romanzo anche solo se si pensa che Clementi e Galli sono amici di vecchia data. Vacanze comuni affetto e stima reciproca nella vita privata, ferocia accademica e rigore nel confronto intellettuale. Potrebbe essere un buon soggetto da film, se negando l’abbattimento della carica virale i negazionisti non producessero l’effetto di mantenere bloccate le nostre vite. A partire dalla scuola italiana, che – per volontà del Cts – resta l’unica scuola dell’Unione eauropea vincolata al dogma invalicabile del “metro di distanza”. Proprio come gli aerei italiani, che fino alla settimana scorsa erano vincolati alla stessa distanza mentre tutto il continente già si volava con un passeggero al fianco dell’altro (purché con la mascherina) in virtù di uno studio che spiegava come i meccanismi di aerazione a vortice neutralizzano l’effetto dell’aerosol frontale.
Il bello è che “i pragmatici” non dicono “riapriamo tutto” (al contrario di altri – chiamiamoli “eretici” – che lo fanno, come ad esempio chi ha teorizzato l’immunizzazione di gregge). I pragmatici riconoscono, al contrario degli “eretici”, l’importanza decisiva del lockdown (nella fase uno), non negano in linea di principio l’ipotesi e la possibilità di una seconda ondata. Spiegano e sostengono – tuttavia – che, trovandosi di fronte ad una prima epidemia, di un virus che si è manifestato per la prima volta, nessuno può vaticinare che ci saranno “seconde ondate” sulla base di una qualsiasi evidenza scientifica. Un modo di ragionare che – come avrete capito – a me sembra perfettamente ragionevole, e rende ancora più importante il punto di forza dei firmatari del manifesto.
Se questa del Covid è una guerra, infatti, non può essere una guerra di posizione e di trincea, vigilata dal dogma, ma deve essere una guerra di movimento in cui si deve essere pronti ad “aprire” e “chiudere” con molta rapidità. E soprattutto bisogna essere pronti a farlo (ecco un altro postulato dei dogmatici mai messo in discussione, chissà perché) in modo differenziato, a seconda degli indici di contagio di ogni diversa realtà. Altrimenti si finisce come la linea Maginot dei francesi davanti ai panzer di Hitler nella seconda guerra mondiale. Contro un virus che ha dimostrato di muoversi in maniera velocissima e asimmetrica, il pragmatismo fondato sull’osservazione scientifica è l’unica possibilità di non finire spiazzati e vinti.
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