Mercoledì sera ero a Roma per la presentazione del mio libro ”Interviste impossibili ai Padri della Patria”. Non ho visto il derby di Coppa Italia, dunque non lo commento. Lo ha vinto sul campo la Sampdoria, complimenti alla Sampdoria. Purtroppo dentro e fuori dal campo lo hanno perso la città di Genova, incolpevole, e la grandissima maggioranza delle tifoserie delle due sponde. Vittime, l’una e le altre, delle insensate violenze di piazza che hanno turbato l’ordine pubblico prima, durante ed in coda al match. Violenze premeditate e annunciate.
Poche centinaia di “pseudotifosi” oltranzisti hanno provocato tafferugli, scontri e risse che hanno costretto ad intervenire con vigore le forze dell’ordine, opportunamente rafforzate dalla prefettura, che aveva colto perfettamente l’atmosfera “spessa” maturata tra le frange più radicali delle opposte tifoserie.
Non mi interessa stabilire chi ha cominciato le ostilità, chi e come ha risposto e perché. Chi ha torto e chi ha ragione. Tutti hanno torto e nessuno ha ragione. Agguati, pestaggi, spedizioni punitive, scontri con mazze e bastoni, catene e lanci di fumogeni, furti di vessilli hanno punteggiato la vigilia del derby, ampiamente preannunciati da mesi di tensioni e minacce incrociate distribuite sui social. Un grave deterioramento della convivenza, obbligata, tra le opposte fazioni calcistiche ha avvelenato il tradizionale clima di goliardia che circonda il derby della Lanterna.
Oddio, neppure Genova è un’isola felice che ci siamo immaginati. Non dimentico i durissimi scontri del 1989 con centinaia di Ultras rossoblucerchiati responsabili di in una gigantesca rissa nei pressi dello stadio. Ad incendiare il clima contribuirono dichiarazioni incendiarie d qualche addetto ai lavori ci la lingua troppo sciolta.
Oggi alle due società non si può far carico di nulla, nessuno è usciti dal seminato, tutti si sono comportati responsabilmente. Purtroppo non è bastato.
Il mantra autoassolutorio tutto genovese, del derby d’Italia più civile, colorato e spettacolare sugli spalti esce macchiato dalle “prodezze” di giovinastri ai quali interessa più difendere il rispettivo codice d’onore – il manuale impone di rispondere alle offese avversarie onde preservare appunto l’onore offeso del gruppo – certifica che anche sotto la Lanterna, meno che altrove (Milano e Roma sopportano forti infiltrazioni mafiose e criminali nelle curve), alligna il germe della violenza.
La domanda si impone. Che fare? Come arginare e smontare questa deriva oltranzista che utilizza la guerra per bande attorno al pallone come pretesto per sfogare frustrazioni e pulsioni giovanili fuori controllo, ansie e desiderio di imporsi sull’altro?
Le guerre, le guerre vere che provocano ecatombi e distruzioni gigantesche e autorizzano le peggiori vendette sugli innocenti, incoraggiano indirettamente queste prove di forza domestiche legate al calcio. Piccole cose queste, si dirà, al cospetto delle tragedie epocali che insanguinano l’Umanità. Senonché anche dalle piccole cose si coglie lo spirito del tempo e il nostro è uno spirito malato, corrotto. Pericoloso.
Che fare dunque? I Daspo non bastano a scoraggiare i teppisti. Servono misure preventive nette, naturalmente nel solco della Costituzione dei diritti garantiti ai cittadini. In Inghilterra qualunque hooligan si macchi di gesti contrari al codice penale, fosse anche scaraventare una bottiglietta di acqua minerale sul terreno di gioco, viene immediatamente arrestato, rinchiuso nelle celle all’interno degli stadi, processato per direttissima entro pochissime ore. Se condannato, viene spedito a scontare la pena. Per intero. Senza sconti.
Non sono favorevole al carcere, nei casi minori, salvo per individui recidivi specifici. Meglio applicare misure alternative a favore delle comunità: i lavori socialmente utili non mancano. A Genova aiuole, zone verdi e parchi pubblici versano mediamente in condizioni di deplorevole abbandono. Si destinino i violenti a ripulirli, a sfalciare l’erba, raccogliere i rifiuti. Impareranno un mestiere che potrà venir loro utile. Li si spedisca a dare una mano a chi ancora con coraggio e tanto lavoro coltiva la terra l’obiettivo e far conoscere il valore della fatica e il prezzo dello stare insieme con solidarietà disinteressata.
La rieducazione del reprobo comincia ristabilendo la gerarchia dei valori incardinati sul rispetto degli altri e delle regole comuni. Salvo eccezioni il carcere è una scuola del crimine, anziché un mezzo di riabilitazione come la Costituzione prevede espressamente.
Un plauso e un grazie alle forze dell’ordine (Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza) che hanno garantito con equilibrio, misura e polso fermo l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini. Al prezzo di alcuni feriti fra gli uomini in divisa. Mi era capitato di esecrare gli interventi indiscriminatamente violenti di agenti ai danni di pacifici e inermi manifestanti minorenni. Oggi, dopo le sconcezze del derby, sento il dovere di ringraziarli.