La videolettera di Riccardo Bocca: 19 novembre 2020
Carissimo Fabrizio Corona,
le invio questa videolettera perché lei ha appena pubblicato un libro che si chiama “Come ho inventato l’Italia”, dimostrando così di avere non soltanto una lucida percezione del mercato – che ama questi titoli grotteschi – ma anche la forza di affrontare ciò che è diventato nel tempo.
In effetti – va riconosciuto – lei è una persona straordinaria. Perché è difficile, nella storia contemporanea della nostra penisola, trovare altri che abbiano martoriato con tanta costanza la propria vita, esponendola – per di più – al giudizio del grande pubblico.
Non mi riferisco soltanto ai reati da lei commessi, che hanno avuto come conseguenza naturale e drammatica il carcere, e neppure alla volgarità inossidabile del suo stile, impregnato di esibizionismo e di un culto del denaro che lei stesso riconosce ossessivo. No, parlo invece della sua sfera più intima e psicologica.
Terribile, per chi abbia una goccia di umanità, è assistere alla tragicomachia dei suoi rapporti sentimentali e all’aggressività che traspira. È un approccio che sa di Italia vecchia, logora, pensionata da un virus che ci spingerà necessariamente di guardare avanti in modo diverso e opposto al suo.
Certo, caro Corona, lei nel suo libro scrive di sentirsi Dio, spiega che questo mondo – questo squallido mondo – la annoia e quindi sente il bisogno di distrugge per ricominciare daccapo. E però, quando nelle interviste le chiedono cosa vorrebbe fare in futuro, lei risponde che sogna di condurre un programma tutto suo di interviste.
Tutto qui? Dio che diventa una specie di Fabio Fazio, un David Letterman de ‘noantri? Che scena triste. Quasi quanto quella di chi ancora la sfrutta per l’ascendente che lei sa esercitare sul pubblico. D’altronde, se lei è ubiquo su giornali e tv, è perché la realtà che la circonda non è tanto meglio.
La videolettera di Riccardo Bocca: puntate precedenti
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