Venezia, il flop del Mose è il fallimento della Lega e del centrodestra
Guardate bene questa foto. È il 14 maggio 2003. L’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi taglia il nastro e inaugura ufficialmente il cantiere del Modulo Sperimentale Elettromeccanico, meglio conosciuto semplicemente come Mose.
Una serie enorme di paratoie mobili a scomparsa che, nelle intenzioni dei progettisti, avrebbe dovuto proteggere per sempre la Laguna di Venezia dall’acqua alta. Al suo fianco, compaiono, tra gli altri, l’allora Presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan (anche lui FI), e il fondatore e numero uno della Lega dell’epoca Umberto Bossi. Una parata in pompa magna di tutti gli alti papaveri del centrodestra, con tanto di annunci trionfalistici alla stampa: “Abbiamo risolto il problema dell’acqua alta a Venezia”.
16 anni – e 5 miliardi e mezzo di euro – dopo, il Mose attende ancora di essere completato, affondato, come la città che avrebbe dovuto salvare, in una serie infinita di scandali, corruzione, sprechi, ritardi, al punto che il Mose è diventata nell’immaginario collettivo la Salerno-Reggio Calabria del Nord Italia, emblema per eccellenza della mangiatoia italiana e del fallimento di un’intera classe politica. Quel centrodestra che governa ininterrottamente da 24 anni, e per 5 mandati consecutivi, la Regione Veneto, che ha competenza concorrente sulla tutela e la difesa dell’Ambiente. Di questi cinque mandati, gli ultimi quattro hanno visto la Lega saldamente nella coalizione di governo e gli ultimi due addirittura sono stati nel segno e nel nome di Luca Zaia, leghista doc e considerato, oggi, il numero due del Carroccio a livello nazionale. Non solo.
Negli ultimi 25 anni, la Lega ha governato il Paese per oltre un decennio, prima con Berlusconi ed ex fascisti e, più di recente, col Movimento 5 Stelle. Nello stesso periodo Venezia ha subito tre delle sei alte maree più gravi della propria storia, mentre il progetto Mose naufragava negli scandali e nelle mazzette.
E arriviamo ai giorni nostri, a martedì scorso, quando in Regione si discute il Bilancio. La maggioranza a sostegno di Zaia – formata, oltreché dalla Lega, da Fratelli d’Italia e Forza Italia – ha appena bocciato tutti gli emendamenti presentati dal Partito democratico per contrastare i cambiamenti climatici. E sarà un caso, sarà il karma, ma, appena due minuti dopo d’orologio, l’acqua invade e sommerge la sala del Consiglio regionale, costringendo a sospendere la seduta.
È l’ultimo tassello, quello più pittoresco e simbolico, di una stagione politica nel corso della quale Lega e centrodestra hanno governato da soli la Regione e, più di qualsiasi altra forza politica o coalizione, il Paese. In quel periodo non solo è fallito il Mose ma, più in generale, è crollato su se stesso un intero disegno politico imperniato esclusivamente sulle grandi opere e sull’approccio ultra-interventistico e iper-antropico di cui il Mose è la punta dell’iceberg.
Invece di affrontare alla radice la questione del surriscaldamento globale e degli stravolgimenti climatici di cui Venezia porta incise le ferite, si è scelto di negare sistematicamente il problema, preferendo continuare a ricucire e a rattoppare la laguna con questa o quella grande opera, senza mai chiedersi, neppure per un istante, se non fosse il caso di ripensare le politiche climatiche e ambientali nel loro complesso. “Venezia che muore” – per dirla alla Guccini – suona, insomma, come un disastro annunciato.
Basterebbe ripercorrere le tappe che, negli ultimi 5 lustri, hanno portato sino ad oggi per mettere a nudo le enormi responsabilità del centrodestra italiano e della Lega in particolare. Eppure, in questi giorni, a tenere banco sono le dichiarazioni roboanti dei due principali esponenti leghisti, Salvini e lo stesso Zaia. Il primo accusa l’attuale governo giallorosso – in carica, ricordiamolo, da meno di 3 mesi – di “ignorare un patrimonio dell’umanità come Venezia e di fare più danni della grandine”. Il secondo riesce in un triplo salto carpiato e, di fronte, alle telecamere, tuona: “Perché il Mose, un’opera da 5 miliardi, non funziona?”. Una domanda da rigirare immediatamente al mittente e a chi, come Zaia, ha trascorso i successivi 16 anni nei principali ruoli di governo e responsabilità.
Siamo di fronte a una vera e propria operazione di revisionismo storico, che attecchisce perfettamente su milioni di italiani, la cui memoria sembra essere affondata insieme a piazza San Marco, ai negozi e all’hotel della Serenissima. E questo, se è possibile, lascerà danni persino peggiori dell’acqua alta.