Il giorno dopo l’assalto al Campidoglio, il roteare dei lampeggianti della polizia squarcia di nuovo la sera di Washington: una colonna d’auto di pattuglia attraversa la capitale federale, fa il giro intorno alla collina del Congresso.
Non è un’emergenza, non è la risposta a una nuova minaccia al tempio della democrazia degli Stati Uniti. È l’omaggio dei colleghi a uno di loro, Brian Sicknick, agente della polizia del Congresso, morto giovedì in conseguenza degli incidenti di mercoledì.
L’azione dei facinorosi aizzati da Donald Trump ha provocato cinque morti. Sicknick, 40 anni, in servizio da 12, “era stato ferito mentre si opponeva fisicamente ai manifestanti – si legge in una nota -. Tornato in caserma è crollato. Portato in ospedale è morto”.
Inchieste sono in corso sull’accaduto: s’indaga sulle circostanze delle morti di Sicknick e di Ashli Babbit, la donna di San Diego, una veterana dell’aeronautica di 35 anni, raggiunta dai colpi dell’arma di servizio di un agente in uniforme della polizia del Campidoglio. Gli altri tre sostenitori di Trump deceduti sono Rosanne Boyland, 34 anni, di Kennesaw (Georgia), Kevin Greeson, 55, di Athens (Alabama) e Benjamin Phillips, 50, di Ri (Pennsylvania).
C’è un intreccio di competenze, di responsabilità e di interrogativi che intricano la matassa e, probabilmente, hanno contribuito a rendere la risposta delle forze dell’ordine debole e inadeguata.
La sindaca di Washington Muriel Bowser se la prende con le autorità federali, che non hanno tempestivamente mobilitato i rinforzi della Guardia Nazionale, che erano pronti a intervenire, e/o gli agenti dell’Fbi.
E hanno senz’altro creato intoppi le responsabilità sovrapposte della polizia di Washington, che dipende dal sindaco, e di quella del Campidoglio, che dipende dal Congresso. Il capo di quest’ultima, Steven A. Sund, annuncia che si dimetterà il 16 gennaio, prima dell’Inauguration Day del 20 gennaio.
Il suo siluramento era chiesto dalla speaker della Camera Nancy Pelosi. È la prima testa a cadere, non sarà probabilmente l’ultima.
Ci s’interroga pure sull’atteggiamento della polizia o, almeno, di una parte di essa: tutti hanno visto in televisione le immagini delle barriere rimosse davanti ai contestatori e momenti di dialogo, quasi di cameratismo, tra agenti e manifestanti, impegnati a farsi selfie.
Scene che danno un’eco ambigua alle parole del presidente pronunciate durante i disordini: “Per favore, sostenete la polizia e le forze dell’ordine. Sono davvero dalla parte del nostro Paese. State tranquilli”.
Che sia stato tattico, per evitare guai peggiori, o strategico, di complice connivenza, l’atteggiamento della polizia morbido verso gli energumeni di Trump indispettisce e insospettisce Joe Biden, che giudica “inaccettabile” la diversità di trattamento riservata in estate dalle forze dell’ordine agli anti – razzisti di Black Lives Matter e ora ai sostenitori di Trump, “terroristi domestici”.
Con i lampeggianti sempre accesi, il corteo di auto della polizia completa il mesto giro. Si fermano ad osservarlo passare, incrociando lo sguardo con quello degli agenti, gli operai che stanno allestendo una barriera tutto intorno al Campidoglio: inutile, nella prospettiva del 20 gennaio, quando l’insediamento di Biden sarà essenzialmente virtuale e non s’attendono contestatori.
Da mesi, ce n’è una analoga intorno alla Casa Bianca. Triste che i templi della democrazia vadano protetti dai cittadini, che li dovrebbero visitare non rispetto, non assaltare. Ma se la minaccia alligna all’interno delle Istituzioni, se sta rintanata dentro la Casa Bianca, con la complicità degli elettori del 2016, la barriera protegge la minaccia, non la democrazia.
La minaccia va espulsa, come hanno appena fatto gli elettori del 2020. E, soprattutto, non bisognava insediarcela. Quelle barriere sono l’immagine di un’America sotto assedio, nemica di se stessa.
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