Il picco petrolifero, cioè il momento in cui i giacimenti di petrolio progrediranno verso l’esaurimento, verrà raggiunto nel 2020. Il ricorso al fracking, la fratturazione idraulica che utilizza solventi per frantumare le rocce del sottosuolo, potrà spostare in avanti questo periodo ma con alti rischi per l’ambiente e aumento del costo del greggio. In ogni caso il periodo in cui era possibile estrarre petrolio a basso costo e con pochi rischi è definitivamente finito. Le ricerche per sviluppare energie alternative e rinnovabili come il solare termodinamico, idrogeno e fusione nucleare sono in corso ma per mettere appunto i sistemi di produzione e trasporto economicamente favorevoli di queste energie ci vorranno ancora decenni.
Attualmente l’unica via alternativa veramente praticabile, ma ancora fossile e quindi esauribile, è il gas naturale, il metano. I maggiori produttori di gas sono la Russia e l’Iran, alleati politicamente, che però hanno sempre avuto varie difficoltà nel trasporto di questa forma energetica. Per la Russia la via marittima necessita di viaggi molto lunghi e spesso complessi per le difficoltà di navigazione dei mari vicini al circolo polare artico ed è costosa per la necessità di liquefare il gas in modo da poterlo stoccare nelle navi.
Per la Russia e per l’Iran anche la realizzazione di gasdotti ( pipeline ) è spesso risultata complicata per questioni geologiche – come grosse catene montuose – e geopolitiche – con conflitti armati nei territori percorribili.
La Gazprom, la più grande compagnia russa per la produzione di gas sta proseguendo gli sforzi per incrementare la rete di gasdotti verso l’Asia e verso l’Europa. I due mercati più importanti al mondo che necessitano di energia essendo sprovvisti di grandi giacimenti fossili. Per la Russia l’esportazione di Gas è di vitale importanza. Il 70 per cento delle esportazioni russe riguarda il gas. Metà delle entrate dello Stato deriva dalla vendita di petrolio e dal gas naturale. Senza poter vendere gas, il rischio di default per l’economia russa è concreto.
Anche per l’Iran i giacimenti energetici fossili sono determinanti per l’economia. Circa l’80 per cento degli introiti delle esportazioni deriva dallo sfruttamento di petrolio e gas. L’Iran è il secondo produttore mondiale di gas naturali dopo la Russia, con il 18 per cento dell’intera riserva mondiale.
Tre sono i gasdotti russi in realizzazione e comunque determinanti nello scenario geopolitico. Il gasdotto Power of Siberia, tra la la regione Yakutia e il confine russo-cinese, è stato inaugurato il 2 dicembre scorso, è la principale infrastruttura nel trasporto di gas naturale in tutto l’oriente russo. Si estende per circa 3mila chilometri, dagli enormi giacimenti siberiani. La realizzazione del gasdotto Turkish Stream è al 95 per cento della lunghezza totale della sezione offshore (cioè costruito sul fondale marino). Il TurkStream attraversa il Mar Nero per raggiungere la Turchia, poi dovrebbe collegare la Bulgaria, Serbia e l’Italia. Infine il Nord Stream 2, che affiancherà il Nord Stream 1, è anch’esso quasi terminato. Sarà il gasdotto più lungo del mondo. Trasporterà gas naturale per 1.230 chilometri, dalla costa baltica della Russia per passare nelle acque territoriali della Finlandia, Svezia, Danimarca fino in Germania, lì il gasdotto verrà allacciato alla rete di distribuzione dell’Unione Europea. Sarà alimentato direttamente da una delle più grandi riserve di gas naturale al mondo: quella di Bovanenkovo nella penisola di Yamal nella Russia settentrionale, dove al momento si stima ci siano quasi 5.000 chilometri cubi di gas.
Le forniture energetiche che la Russia sta proponendo verso Occidente ed Oriente rappresentano per il governo degli Stati Uniti e i suoi alleati una sfida sia commerciale che politica. I competitor sauditi e statunitensi stanno quindi cercando di applicare tutte le contromisure possibili.
Il 20 dicembre scorso il presidente statunitense Donald Trump ha promulgato un progetto di legge per contrastare le espansioni russe riguardanti la distribuzione del gas. Le sanzioni americane coinvolgono la Russia e la Turchia e le imprese coinvolte nella costruzione dei gasdotti Nord Stream 2 e TurkStream. Le misure andranno a colpire le ditte e le persone fisiche coinvolte, annullando i loro visti per gli Stati Uniti e congelando i loro conti bancari. Difficilmente però Trump riuscirà a bloccare la vendita del gas russo. I progetti sono ormai in fase di ultimazione e gli Stati Uniti non sono assolutamente competitivi nell’ambito di questa forma energetica fossile.
La produzione di gas statunitense è di qualità inferiore e di costi superiori. Il gas americano è prevalentemente di scisto, cioè estratto da argille diagenizzate, o proveniente da fracking, poi liquefatto con un processo produttivo più costoso di circa il 20 per cento rispetto al gas naturale distribuito via gasdotto.
A favore però dell’azione americana ci sono i Paesi dell’est Europa. Questi sono convinti che la costruzione dei nuovi gasdotti li possa penalizzare. In effetti ci sono già gasdotti che portano in Europa il gas russo. Questi passano attraverso Bielorussia e Ucraina, ancora in guerra con la Russia. L’Ucraina riceve ogni anno più di 2 miliardi e mezzo di euro in tasse per il passaggio del gas russo sul suo territorio. Ed altrettanti introiti entrano ai Paesi che collegano i loro gasdotti a quello ucraino. In effetti una volta che Nord Stream 2 sarà completato, Putin non avrà più nessun bisogno dell’Ucraina e potenzialmente potrà muovere il suo esercito fino ai confini orientali dell’Unione Europea.
Ma in Europa il gas arriva anche da altre “porte” principali. Dal Nord Africa il gas arriva dall’Algeria con pipeline verso la Spagna e dalla Libia tramite il gasdotto GreenStream verso l’Italia. Dall’Iran il gas arriva in Europa attraverso un gasdotto che passala Turchia o attraverso gas liquefatto per via marittima.
Nell’ambito di questa competizione energetica si possono facilmente comprendere le tensioni sempre maggiori che stanno affiorando nel Mediterraneo orientale e in Medio Oriente soprattutto. In Libia gli schieramenti in campo si sono divisi in gruppi contrapposti. I primi, fedeli al generale Khalifa Belqasim Haftar, si sono alleati alla Russia di Putin, mentre i secondi, vicini al presidente Fayez al-Sarraj, sono affiliati alla magica coppia Turchia-Qatar dei Fratelli Musulmani.
Dalla parte di Haftar, l’antagonista a Serraj, la Russia offre i mercenari del Gruppo Wagner, società di sicurezza russa che opera anche in Siria e in Ucraina e che è sospettata di essere legata al governo di Vladimir Putin. A metà dicembre Serraj ha annunciato un memorandum di intenti sulla cooperazione militare Libia-Turchia per ridefinire i confini delle acque territoriali dove poter trivellare i giacimenti di gas del mediterraneo. La definizione delle acque territoriali libiche e del Mediterraneo orientale è alla base dei conflitti in corso nella regione. In questa zona di mare vengono scoperti ogni anno nuovi giacimenti di gas. I più grandi sono Wafa e Bahr Essalam operati da Eni in mare libico, “Afrodite” al largo di Cipro, i giacimenti offshore israeliani “Leviathan”, “Karish” e “Tanin”, l’egiziano Zohr scoperto sempre dall’italiana Eni.
Infine anche l’Iran presenta il conto al mercato energetico europeo. Con oltre venti bilioni di metri cubici di gas ha tenuto forti relazioni con la Total francese ed ora sempre più con le compagnie energetiche cinesi. Un potere che ha pesato anche sull’accordo nucleare iraniano, il PACG in vigore dal 2015 appoggiato proprio dall’Unione europea.
Un peso politico che è stato da subito contrastato dall’amministrazione Trump con l’embargo economico e militare verso l’Iran. Le motivazioni ufficiali erano quelle relative ad impedire all’esercito iraniano l’utilizzo di armamenti nucleari ma l’obiettivo era anche quello di impedire la vendita del gas iraniano al mercato europeo. Il sistema è lo stesso di quello messo in atto con le sanzioni imposte alla Russia e ai suoi partner commerciali. Sono moltissime le aziende europee che hanno abbandonato gli investimenti in Iran, anche a costo di perdere milioni (o miliardi) di commesse. Washington ha messo queste aziende di fronte a una scelta obbligata: o l’Iran o gli Stati Uniti. E la maggior parte ha scelto gli Stati Uniti.
In questo contesto è da leggere l’uccisione di Qassem Soleimani, presente nel convoglio nei pressi dell’aeroporto della capitale irachena Baghdad. Trump avrebbe dato il via libera all’opzione presentatagli dal Pentagono già qualche giorno prima, dopo essersi consultato con il segretario di Stato Mike Pompeo e altri membri dell’amministrazione americana. La decisione sarebbe stata giustificata, ufficialmente, come risposta all’assalto ad una base militare statunitense condotto alcune settimane prima dai miliziani iracheni collegati all’Iran. Ma probabilmente l’intenzione reale era quella di evitare l’isolamento politico e commerciale degli Usa in Medio Oriente, un rischio sempre più concreto.
Il generale Suleimani era stato l’artefice dell’espansione della mezzaluna sciita dalla Persia fino al libano e dei legami con la Russia di Putin. Fu proprio Solemani ad architettare l’influenza iraniana in Siria realizzando la sinergia militare russa e iraniana che ha sconfitto l’Isis, il sedicente Stato islamico in Siria e Iraq. Ma non solo, come se non bastasse era in procinto di realizzare accordi politici ed energetici con la monarchia saudita, togliendo agli Stati Uniti il partner principale in Medio Oriente.
Se la Russia, oltre che in quella ucraina e siriana, uscirà vincitrice anche nella guerra libica molti equilibri geopolitici cambieranno nell’Europa che conosciamo. La Russia e il suo alleato Iran a quel punto potranno avere in mano per vari anni il controllo dei Paesi europei, il cui fabbisogno energetico sarà sempre più dipendente dalle fonti di gas. Le forniture più vantaggiose di questa energia passeranno quasi esclusivamente dalle pipeline russe e libiche e dal gas iraniano, gli altri approvvigionamenti non saranno favorevoli e l’Unione europea sarà sempre più dipendente dal mondo sciita.
Per evitare questo gli Stati Uniti e gli alleati sauditi, sunniti da sempre in opposizione con mondo sciita, si sono dimostrati disposti a rischiare un conflitto in larga scala. Teheran in risposta all’omicidio del suo generale ha infatti annunciato l’inizio dell’operazione “Soleimani martire”. Numerosi missili nella notte scorsa sono stati lanciati dall’Iran sulle basi di Ain Al Asad, simbolo della presenza americana in Iraq, e di Erbil, dove si trovano anche oltre 600 soldati italiani. I Guardiani della Rivoluzione, i pasdaran della teocrazia iraniana hanno dichiarato che “la vendetta sarà feroce”.
Adesso siamo a un passo dall’escalation totale, che potrebbe portare a una nuova guerra per l’intero Medio Oriente, un disastro umanitario, ma comunque favorevole agli Stati Uniti. Se infatti il conflitto si amplificasse, gli Usa riuscirebbero a rompere le attuali forze negoziali, energetiche e commerciali di Russia e Iran che avevano portato all’isolamento statunitense.