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    E così, ancora una volta, si fa una guerra per campagna elettorale

    Il presidente statunitense Donald Trump. Credit: Richard Graulich/The Palm Beach Post via ZUMA Wire

    Nel 2011 Trump accusava Obama di voler fare una guerra contro l'Iran per essere eletto. Il 2020 si è aperto con l'uccisione del generale iraniano Soleimani, voluta dallo stesso Trump per spostare il dibattito interno Usa dall'impeachment alla difesa nazionale. Il commento di Giulio Cavalli

    Di Giulio Cavalli
    Pubblicato il 3 Gen. 2020 alle 16:05 Aggiornato il 8 Gen. 2020 alle 11:54

    Ora ci spiegheranno che funziona così, che nell’anno che porta alle elezioni è una buona mossa sbrindellare un nemico da servire al mondo ed esultare esibendo la bandiera Usa. Poi arriveranno gli ingenti guadagni dei signori della guerra e infine tutto sarà pronto per la solita solfa dell’uomo forte, della liberazione dal male e che bisogna ripristinare la giustizia per avere la pace.

    Il 2020 si apre con una guerra che si presenta alla porta con il suo solito ghigno di chi si sente bella di quella bellezza carnefice che costa moltissimo a tutti quelli che le stanno intorno.

    Trump non è riuscito a trattenersi dal fare il Trump: alla fine ha ceduto al suo ego ipertrofico che ha bisogno di essere su tutte le bocche del mondo e, come tutti gli incapaci di costruire la pace, ha dovuto ripiegare sulle bombe per incassare una reazione (che sarà presumibilmente violentissima) e spostare il dibattito dalla politica alla difesa nazionale.

    Accade da secoli, eppure sembriamo non imparare mai, schiavi della paura che ci prende anche quando viene indotta così esplicitamente da chi solo con la paura è capace di governare.

    Basta scorrere l’account Twitter di Trump per ritrovare una sua dichiarazione del 29 novembre 2011 contro Obama: “Per essere eletto Barack Obama inizierà una guerra contro l’Iran”, scriveva il magnate americano che ora, sulla poltrona presidenziale, è pronto a contraddirsi per incassare gli stessi benefici.

    Eppure questa guerra (perché è già una guerra quello scontro che uccide i generali) riapre per l’ennesima volta gli occhi del mondo sul Medio Oriente, ancora una volta, come sempre, solo con i missili e il sangue. Ci sono posti nel mondo che ci ritornano in mente e ricompaiono sulle pagine dei giornali solo quando il sangue schizza sul nostro rassicurante tappeto in salotto.

    Oggi dalle finestre è entrato l’Iran. Qui, però, siamo oltre al solito inganno del fare la guerra per ottenere la pace e addirittura oltre al fare la guerra per la guerra: questa è un’offensiva che ha il solo scopo di pompare una campagna elettorale e soffiare nel super-io di qualcuno.  Vale come buttare la palla in tribuna, solo che il pallone è una bomba.

    Così l’anno nuovo si apre con gli analisti della guerra che sono già pronti a disinfettare le parole (quelli che usano l’esportazione “di democrazia”, le “bombe intelligenti” e le “vittime collaterali” per rendere potabile il veleno) e a dirci che “non c’è alternativa”. Poi, vedrete, quando si farà notare loro l’errore dell’eliminazione di Soleimani ci guarderanno fintamente stupiti e ci diranno: “Beh? Che c’entra?”. E siamo ancora qui.

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