La notizia è che Joe Biden è il presidente eletto degli Stati Uniti: con la vittoria in Pennsylvania. Ma il sollievo è che gli americani hanno ripudiato Donald Trump: un mandato è stato loro sufficiente per capire che il magnate presidente era la copia conforme del magnate candidato, egocentrico, incostante, imprevedibile, incline ad anteporre l’interesse personale a quello pubblico, rozzo – ma efficace – nella comunicazione, scostante nei modi; per di più, un mentitore seriale.
C’è però voluto il più grande esercizio di democrazia nella storia Usa – mai così tanti alle urne, sia in assoluto che in percentuale – per cacciare Trump, verso il quale una grossa fetta dell’America continua a sentirsi attratta: uomini bianchi senza istruzione, rednecks, suprematisti e razzisti, ispanici di seconda generazione che non vogliono spartire coi nuovi immigrati il ‘sogno americano’, fondamentalisti cristiani e tradizionalisti cattolici, ‘anti-governo’ nostalgici del Tea Party, cultori d’una libertà che non rispetta i diritti altrui.
Contro Trump, i democratici non hanno schierato un leader carismatico, ma una figura che unisce e non divide: Biden è una persona per bene, lo zio buono, l’usato sicuro della politica statunitense, cui un paese polarizzato dalla gestione del magnate e dilaniato dal Coronavirus s’affida per ricomporre le spaccature e lenire le ferite.
Biden sarà il 46° presidente degli Stati Uniti, il secondo cattolico – il primo fu John F. Kennedy -: quando s’insedierà ed entrerà alla Casa Bianca, avrà 78 anni – li compie il 20 novembre -. E il più anziano presidente Usa mai eletto. La sua vice Kamala Harris, 56 anni, è la prima donna mai eletta vice-presidente e la prima di origine afro-americana e indiana mai eletta a un incarico così elevato negli Stati Uniti.
All’annuncio della vittoria di Biden, manifestazioni di giubilo spontanee ci sono state a Scranton, Pennsylvania, dove Biden è nato, a Washington davanti alla Casa Bianca, a New York e altrove nell’Unione. Gente festante, uomini e donne, bianchi e neri, ispanici e asiatici: per loro, l’incubo d’altri quattro anni di Trump alla Casa Bianca è fugato.
Il presidente, raggiunto dalla notizia mentre giocava a golf, non vuole però accettare la sconfitta e farà scattare lunedì un’offensiva legale, “per assicurare – dice – che le leggi elettorali siano rispettate e che venga eletto il legittimo vincitore … Questa elezione è lungi dall’essere finita. La vittoria di Biden non è stata certificata in tutti gli Stati”. Per ora, Trump non intende invitare Biden alla Casa Bianca. Una scortesia, perché la tradizione vuole che il presidente in carica inviti quello eletto: un té e l’occasione per mostrargli la casa, che Biden, per otto anni vice di Barack Obama, conosce molto bene.
Mentre Biden assaporava a casa con la moglie Jill, un nonno italiano, il gusto della vittoria, i legali di Trump a Filadelfia facevano una conferenza stampa per tratteggiare la loro strategia. Chi segue l’andamento delle elezioni a livello federale, però, assicura: “Non c’è alcuna prova che ci siano stati brogli” o “voti illegali”; “pochissime le denunce” d’irregolarità pervenute, non suffragate da prove.
Nel suo primo messaggio da presidente eletto al popolo americano, Biden, che in serata ha parlato alla Nazione, s’è di nuovo impegnato a essere “il presidente di tutti gli americani”, riconoscendo che “il lavoro da fare sarà difficile”. La Harris, che era a casa sua con il marito Doug Emhoff, avvocato di origine ebrea, ha twittato: “Questo voto tocca lo spirito dell’America … Abbiamo molto lavoro davanti. Iniziamo a farlo”. Poi, Joe e Kamala si sono parlati: “Ce l’abbiamo fatta!”.
Nel primo discorso alla Nazione da presidente eletto, Biden s’è impegnato a guarire un paese diviso e ferito, a contrastare l’epidemia di Coronavirus e a rilanciare l’economia. Domani, lunedì, dovrebbe annunciare la sua task force anti-Covid, forte – pare – di 12 membri: quasi 10 milioni di persone sono già state contagiate nell’Unione e oltre 236 mila sono decedute.
Gioia e sollievo sono stati espressi da Barack Obama, regista del successo di Biden, e da Michelle, la ex first lady. Hillary Clinton, che fu battuta da Trump nel 2016, ha twittato: “Joe e Kamala sono una squadra che ha fatto la storia, il ripudio di Trump apre una nuova pagina per l’America. Avanti insieme”. Una teoria di esponenti democratici, fra cui Bill Clinton, e anche repubblicani – i Bush -rende omaggio al ticket vincitore.
Al passo con i tempi della comunicazione, Biden e la Harris hanno subito aggiornato i loro profili twitter con, rispettivamente, “presidente eletto” e “vice-presidente eletto”. In mattinata, lo spoglio delle schede era ricominciato in Pennsylvania dopo la pausa notturna: c’era la sensazione che l’ora della verità stava per arrivare. A questo punto, gli Stati ancora mancanti, Georgia, Carolina del Nord, Arizona, saranno ininfluenti, ma se Biden si aggiudicasse Georgia e Arizona, dov’è avanti, salirebbe a 306 Grandi Elettori.
Decisivo è stato il suo Stato natale, assegnatagli in tarda mattinata dai media americani – per prima, la Cnn -: a quel punto, il candidato democratico ha raggiunto e superato i 270 grandi elettori necessari per conquistare la Casa Bianca. Aggiudicandosi poi anche il Nevada, l’ex vice-presidente di Obama è salito a 279.
La sua vittoria che, la notte delle elezioni, pareva una chimera e che s’era poi andata profilando striminzita, assume dimensioni più consistenti, con un margine di almeno 5 milioni di voti popolari, la riconferma della maggioranza democratica alla Camera e la maggioranza al Senato dipendente dai ballottaggi in Georgia il 5 gennaio. Biden ha probabilmente vinto dove i democratici perdevano dagli anni Settanta – la Georgia – e ha ricostituito il Muro Blu degli Stati operai e manifatturieri, auto e acciaio, la Pennsylvania, il Michigan, il Wisconsin.
Da tutto il Mondo, giungono congratulazioni a Biden e alla Harris: dalle Figi, che sperano di non finire sott’acqua con il ritorno degli Usa negli accordi di Parigi sul clima, e dall’Iran, che auspica relazioni meno conflittuali; e anche da chi magari non t’aspetti in prima linea, come il britannico Boris Johnson, il più trumpiano fra i leader europei.
Se Trump non demorde e twitta sulle frodi, il leader dei repubblicani al Senato Mitch McConnell assicura che la transizione del potere avverrà sarà pacifica. Anche i media di Rupert Murdoch, che tifavano per il magnate, Fox News, il NYP, il WSJ, si sganciano dal carro dello sconfitto: “Trump ha tutto il diritto di chiedere un riconteggio dei voti negli Stati” dove il distacco è ridotto, recita un editoriale del Wall Street Journal, “la campagna di Trump dovrà fare valere in tribunale” le accuse di frode. “Trump odia perdere e senza dubbio combatterà fino alla fine. Ma se fosse sconfitto, dovrebbe fare un favore a se stesso e al Paese, onorando le tradizioni democratiche americane e lasciando con dignità”.
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