Elezioni americane. Cominciamo dall’Ira. No, non è un riferimento all’ormai defunta organizzazione terroristica irlandese. E nemmeno il sentimento funesto del Pelide Achille per la rielezione di “The Donald”. Parliamo dell’Inflation Reduction Act, ovvero la più ambiziosa azione per il clima della storia degli Stati Uniti: una legge federale – approvata nel 2022 sotto l’Amministrazione di Joe Biden – che sta catalizzando investimenti rivoluzionari nell’energia pulita in ogni zona del Paese.
Fortemente voluta dal senatore di New York Chuck Schumer, presidente della Commissione Ambiente del Senato, l’Ira mira al rilancio economico dell’America per ridurre le emissioni di gas serra del 40% entro il 2030, rafforzando il ruolo degli Usa come leader globali nelle industrie green.
Il pacchetto normativo prevede investimenti pari a 433 miliardi di dollari, di cui 369 destinati a rafforzare le filiere di produzione e di approvvigionamento dell’energia pulita, che dovrebbero generare un effetto moltiplicatore sul sistema economico calcolato intorno ai 900 miliardi di dollari.
La domanda che tutti si pongono dopo la vittoria di Trump è: si tratta di investimenti a rischio visto, che il neo-eletto presidente ha promesso più volte di smantellarli e nega apertamente l’esistenza dei cambiamenti climatici? La risposta non è così scontata come potrebbe sembrare.
Nella top ten degli Stati che più hanno beneficiato dell’Ira, sette sono governati dai repubblicani (Georgia, South Carolina, Ohio, Tennessee, Nevada, Indiana, Oklahoma) e solo tre dai democratici (Michigan, Arizona e North Carolina).
Come ci ricorda l’agenzia Bloomberg, proprio i rappresentanti locali del partito repubblicano hanno lanciato un appello Trump affinché non cancelli gli investimenti già programmati grazie all’Inflation Reduction Act: dunque i primi a opporsi a una sua eventuale cancellazione potrebbero essere proprio i governatori di destra.
In una sua analisi precedente alle elezioni, Samantha Gross, esperta di clima e sicurezza energetica del Brookings Institute di Washington osservava: «Anche se Trump vincesse, non mi aspetto che l’Inflation Reduction Act venga cancellato.
La maggior parte dei finanziamenti dell’Ira vanno a Stati e distretti governati dai repubblicani, che non vorranno perdere questi soldi». E concludeva che da Trump ci sarebbe stato da aspettarsi «molta retorica sull’eliminazione dell’Ira, ma niente di più».
Nel suo precedente mandato, il tycoon ha smantellato più di cento provvedimenti sul clima oltre ad aver svincolato gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi del 2015.
E oggi? Nel suo programma elettorale non compare alcun riferimento al cambiamento climatico, mentre si prevede un’espansione senza precedenti delle estrazioni di petrolio, gas e carbone, considerate come «energia americana» a cui bisogna togliere ogni restrizione per «cancellare il Green New Deal socialista». E vai con lo slogan «drill baby drill!» («trivella bellezza, trivella!»).
Ma come ci ricorda Linda Kalcher, direttrice del think tank Strategic Perspectives, «Trump non sarà in grado di cambiare l’economia o le tendenze del mercato: se si guarda alla determinazione con cui la Cina vuole primeggiare nella corsa alle tecnologie pulite, è facile realizzare che difficilmente invertirà la rotta».
E se Trump decidesse davvero di smantellare l’Inflation Reduction Act? A quel punto si aprirebbe uno scenario nuovo e favorevole all’Europa, perché molte imprese potrebbero decidere di trasferirsi proprio nel territorio dell’Ue, dove Ursula von der Leyen ha annunciato il Clean Industrial Deal, che conferma l’obiettivo della neutralità climatica al 2050 e prevede un obiettivo intermedio di riduzione delle emissioni di gas serra del 90% entro il 2040. Una strada che, oltre a darci la sovranità energetica e migliaia di posti di lavoro, va incontro alle preoccupazioni dei giovani per il clima.