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    Altro che guerra al terrore: Trump utilizza l’Iran per vincere le elezioni

    Donald Trump
    Di Luca Telese
    Pubblicato il 4 Gen. 2020 alle 10:48 Aggiornato il 8 Gen. 2020 alle 11:54

    Tunisi. Per puro caso, nel momento in cui nel mondo si diffonde la notizia dell’uccisione del generale Suleimani, cioè di fatto il numero due e il capo militare dell’Iran, mi trovo in Africa.

    In mezzo ad algerini, tunisini, musulmani, libici, e – soprattutto – musulmani. Nessuno inveisce contro il “Satana americano”, secondo il cliché caricaturale che spesso l’Occidente ha di questo mondo.

    Tutti sono molto preoccupati e si pongono domande sul futuro: si chiedono – in primo luogo – se questo gesto senza precedenti cambierà lo schema delle relazioni internazionali per sempre.

    Se l’omicidio politico a mezzo drone diventerà legge di Stato. Viceversa sono io ad essere incredulo quando, su internet, leggo le reazioni italiane: i nuovi pasdarán nostrani che inneggiano alla Guerra Santa a stelle e strisce, come certe folle impazzite che abbiamo visto assaltare le ambasciate urlando il momento di qualche profeta.

    La trappola di Trump segue uno schema classico dei conservatori in Occidente: cancellare le vie intermedie, appiattire ogni problema sullo schema sì-no, amico-nemico.

    E questo congegno è pensato per funzionare non solo a Teheran, dove si prova a schiacciare i moderati iraniani (che sono stati il gruppo egemonico nelle classi dirigenti) su una posizione radicale ed estrema.

    Ma soprattutto in Occidente, dove si regala la bandierina da stadio ai giornalistini della curva sud e ai politici del tweet facile, alla grancassa dei media, ma – soprattutto – dove si punta a condizionare la diplomazia degli Stati in nome della guerra Santa al Terrore.

    L’Iran è di nuovo schiacciato in una posizione di isolamento. E quando salta qualsiasi nozione del diritto, delle regole, della diplomazia internazionale, e si opera per creare un Nemico demoniaco, il primo effetto è che il rischio di atti terroristici salga enormemente, con grave pericolo per tutti noi, il rischio è che i macellai della morte tornino ad arruolarsi in nome della vendetta.

    Da stamattina, anche nel paese in cui mi trovo, si viene setacciati per strada con il metal detector. Ovviamente i giornalisti della curva sud italiana, e gli opinionisti un tanto al chilo di queste ore, non sanno (o fingono di non sapere) che nella recente “guerra al terrore” Teheran ha giocato un ruolo fondamentale.

    E che questo paese era schierato dalla”nostra” parte. L’Iran è stato decisivo nella sconfitta dell’Isis, se non altro in nome dell’identitarismo scita. Quindi Trump con la sua irresponsabile esecuzione da videogame, che eccita gli apprendisti stregoni del modernismo bellico, i sempiterni idioti del wargames e delle bombe intelligenti, scatena una nuova era del terrore perché spera di rinsaldare il patriottismo nazionalista e animare l’Internazionale dei fiancheggiatori a stelle e strisce, facendo dimenticare tutti i suoi noti scheletri nell’armadio, dal Russiagate all’impeachment.

    Preme anche sul campo democratico, entra a gamba tesa nelle primarie, sapendo che il dibattito da oggi si polarizzerà fra il babbionismo patriottico (alla Biden) e l’intransigenza pacifista (alla Sanders).

    Un segnale di questo disagio sono i diversi tweet di auto-correzione di Elisabeth Warren, grande esperta di diplomazia, ma pessima regista di campagne di opinione, che ha dovuto modificare le sue prime prese di posizione per non essere annullata dalla lucida capacità comunicativa del vecchio Bernie.

    Ovviamente quando inizierà a salire la psicosi degli attentati, e magari resterà per terra qualche cadavere, il trumpismo (come prima il bushismo) seguendo uno schema antico, logoro, ma sempre attivo nel teatro della Storia, chiederà agli elettori americani una nuova delega presidenziale in bianco, nel nome della necessaria soppressione di alcune libertà, e della provvidenziale sicurezza nazionale e mondiale.

    Si vota, dopotutto, proprio nel 2020, siamo perfettamente nei tempi del calendario elettorale. Prima ti costruisci un Nemico, poi arruoli un esercito di tifosi nei social e nei media, e quindi vai alla guerra contro il Male assoluto cantando l’inno e sventolando la bandiera.

    Naturalmente, mentre fai tutto questo, cerchi di raccontarti al mondo come il paladino della libertà e della democrazia. Ecco il déjà vu. Ecco perché non bisogna arruolarsi nella truppa. Ecco perché non si può abboccare all’amo della propaganda di latta.

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