Oggi è tutto un coro: che bello i giornalisti americani che interrompono il discorso di Donald Trump e spengono la sua diretta accusandolo di dire falsità. Siccome solo due giorni fa ho scritto su questo stesso sito che il “discorso della vittoria” di Trump era eversivo, penso di poter dire altrettanto tranquillamente: è una fesseria. Così come è orwelliano rimuovere dai social i post di un presidente della Repubblica (molto meglio Twitter, che lo ha accompagnato con un commento esplicativo critico).
Leggo per esempio l’appassionato commento del cervello economico di Italia Viva Luigi Marattin, che spiega entusiasta: “Interrompiamo il video perché quello che il Presidente sta dicendo è falso, e quindi non possiamo mostrarlo”. Pensa se avessimo in Italia un giornalismo così. Sarebbero quasi solo interruzioni. Avremmo meno ascolti forse, ma miglior democrazia”. Di certo ha ragione. Se ci fosse in Italia il giornalismo che lui auspica, la cosiddetta “diretta della slides” del suo leader da Palazzo Chigi sarebbe stata interrotta con una laconica comunicazione: “Non esiste nessuna documentazione a supporto di quello che il presidente sta dicendo”. E applicando fino in fondo il metodo anti-Trump, forse, qualche mezzobusto americano, paracadutato in Italia, interromperebbe tutte le interviste di Matteo Renzi dicendo: “Dal momento che quest’uomo ha promesso a sessanta milioni di americani di ritirarsi dalla politica e non lo ha fatto, non possiamo mostrarvi oltre le sue menzogne”.
Quindi, a malincuore, nel caso di Trump, bisogna avere il coraggio di dire che la censura non è mai giusta, non è mai Santa, e – soprattutto – non è mai coraggiosa, anche quando si abbatte su un personaggio che ha dei toni eversivi come Trump. È un bel dilemma, ma io preferisco di gran lunga la via scelta dalla Cnn, che in queste ultime giornate ha trasmesso tutti i soliloqui senza interromperli, e subito dopo li ha severamente “chiosati”, spiegando al pubblico cosa secondo la rete era falso (ad esempio le dichiarazioni di vittoria per alcuni stati) e cosa no, in quello che il presidente degli Stati Uniti aveva appena detto.
Molto meglio, e molto più coraggioso chiosare, piuttosto che rimuovere, abradere, cancellare. Anche perché poi – per Trump, per Renzi, come per Salvini, per Grillo o per Lukashenko – la domanda è sempre la stessa: chi decide? Chi sceglie cosa è illegittimo e cosa non lo è? La differenza fra Marattin (e il coro degli entusiasti della censura anti-Trump) e chi scrive è molto semplice: a decidere deve essere il lettore.
A cui tu offri un punto di vista forte, ovviamente. Ma a cui tu permetti di giudicare con i suoi occhi, senza oscurare nessun documento del racconto, soprattutto quando questo accade in diretta. Nel piccolo, su questo sito, il direttore Giulio Gambino, gli uomini macchina di TPI, e chi vi scrive, abbiamo discusso a lungo (come era giusto fare) se in un titolo di un editoriale si potesse usare la parola “tentato golpe” per una dichiarazione di Trump. Alla fine abbiamo convenuto che c’erano gli elementi per farlo: le urne erano aperte, quel discorso dava per certo ciò che sicuramente non lo era, provava a precostituire le ragioni per invalidare un voto irregolare, incitava ad un clima di conflitto, fissava un precedente grave.
Ma mai e poi mai avremmo oscurato i contenuti del discorso di Trump, mai avremmo inibito ai lettori la possibilità di giudicare da soli mettendo una pecetta. Il succo della questione è tutto qui, ed è il sale della democrazia: chi decide cosa? Chi può arrogarsi di scegliere cosa ha cittadinanza e cosa non lo ha? La nostra idea è che i fatti debbano restare sempre separati dalle opinioni, e mai i primi debbano essere separati dalle seconde. Quando invece scompaiono i fatti, o scompaiono le opinioni, quello è il segnale che si sta facendo cattivo giornalismo: perché significa che si sta nascondendo qualcosa al lettore.
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