Linea Lecco-Milano, stazione di Paderno d’Adda, sono da poco passate le 11.50, un treno della Trenord inizia a muoversi e prende velocità ma a guidarlo non c’è nessuno: né il macchinista, né il capotreno. Il treno scivola in direzione Milano: è del tutto fuori controllo. Dopo il curvone verso sud, il “treno fantasma” procede per 10 chilometri nella campagna, tra capannoni e palazzine. I sistemi di sicurezza si mettono in funzione, si prova una deragliamento “pilotato” per fermare il treno impazzito. La folle corsa termina così, con tre carrozze che escono dai binari, si arrampicano una sull’altra e si accartocciano piegandosi di fianco: il treno sfonda il muro che divide la linea ferroviaria dalla strada.
Su quel treno c’era un unico passeggero, un nordafricano di 49 anni. I passeggeri arrivati a Paderno alle 11.39 erano scesi, quelli che avrebbero dovuto partire alle 12.22 non erano ancora a bordo. Di quell’uomo, della sua paura e del terrore che deve aver provato, non si sa nulla. L’unica informazione nota è che, trovandosi in uno dei vagoni di coda, se l’è cavata con una forte contusione al ginocchio. Per lui non una parola di scuse, non un messaggio istituzionale o una parola di conforto. La sua vita è stata messa a repentaglio e nessuno si è domandato nemmeno per un istante quale incredibile senso di impotenza deve aver provato in quegli istanti. Solo, su un treno impazzito.
Ma se non erano al loro posto, dove si trovavano macchinista e capotreno? Pare fossero al bar, seduti a sorseggiare un caffè, sereni, mentre a pochi metri di distanza si consumava il dramma e andava in onda una scena letteralmente da film. Ignavia, noncuranza, infingardaggine, leggerezza o semplice errore tecnico? Difficile, la momento, stabilire il comportamento dei due lavoratori coinvolti. Ma quel treno fantasma poteva essere il vettore di una vera strage.
Come spiega il Corriere, dal sopralluogo successivo è emerso che le “maniglie” (come vengono chiamate in gergo) sono state trovate tutte “sfrenate”. Insomma, il treno non sarebbe stato bloccato. Un gesto che ogni macchinista compie migliaia di volte, e per questo tra i ferrovieri si stenta a credere possa trattarsi di una “dimenticanza”. Saranno le scatole nere, sequestrate dalla Polfer, a dire cosa è successo, ma le responsabilità – ove presenti – vanno individuate.
In quest’estate soffocante, non per il caldo ma per la stranezza e l’angoscia di vivere nel pieno di un’indecifrabile e tragica epidemia, un episodio di questo tipo ci riporta ai guai “di tutti i giorni”. Ci riconduce ai problemi di un Paese che, ancora, incoscientemente sfiora stragi per possibili errori umani, a pochi giorni da un anniversario funesto come quello del crollo del ponte di Genova. Anche qui, anche al “settentrione”, anche in Lombardia. Due uomini, forse senza colpa o forse per sciatteria, lasciano un treno in stazione che non è ben bloccato.
Fosse successo al Sud, ci saremmo dovuti beccare anche la prosopopea dei benpensanti che avrebbero trovato modo di sguazzare ciarlando di “incompetenza”, “negligenza” e “incuria” dei “terroni”. Almeno questo ce lo siamo risparmiato. Ciò che è veramente importante è riflettere sul fatto che l’Italia non può più misurarsi con episodi come questo e che se esiste un tempo della responsabilità, è arrivato. Ora più che mai.