TPI dedica il 2019 ai portuali di Genova: contro le armi in Yemen
“Siamo i portuali di Genova scesi in sciopero per bloccare il carico sulla nave Bahri Yanbu e sulla Bahri Jazan dei generatori elettrici spediti dalla vostra azienda alla Guardia nazionale Saudita. Noi non crediamo di erigerci al ruolo di salvatori dell’umanità o di giudici dei mali del mondo. Noi vogliamo che l’Italia sospenda la vendita di armi all’Arabia Saudita.
Noi apparteniamo a una storia e a una cultura marinara e portuale in cui il soccorso e l’accoglienza sono valori fondamentali e in cui il commercio civile è praticato come mezzo per la prosperità dei popoli”.
Hanno dichiarato “guerra alla guerra”, in memoria del discorso pacifista che l’anarchico Pietro Gori pronunciò a Genova il 18 ottobre 1903, e si sono schierati per fermare i cargo sauditi nella loro rotta per il carico di armi da utilizzare nella guerra in Yemen: sono i portuali di Genova che con il loro coraggio hanno provato a interrompere la catena di morte causata dal commercio di armi.
TPI dedica il 2019 al loro lavoro: in settimane e mesi di mobilitazioni hanno bloccato il carico d’armi destinato alla Guardia Nazionale Saudita.
“L’Onu ha documentato che la guerra in Yemen ha causato oltre 60mila vittime in questi ultimi cinque anni – scandiscono al megafono i manifestanti sotto la Prefettura – milioni di sfollati e un disastro umanitario con 90 mila bambini morti per la malnutrizione, il tutto con la complicità dei governi occidentali che al netto dei proclami non fanno nulla per fermare il commercio di armi”.
Qui la Video-inchiesta per TPI sul traffico di armi dall’ Italia verso l’Arabia Saudita | VIDEO (L’inchiesta video “Doppia Ipocrisia” è stata realizzata da Roberto Persia, Madi Ferrucci e Flavia Grossi grazie ai finanziamenti ottenuti dal Premio Roberto Morrione per il giornalismo investigativo )
Picchetti di protesta, scioperi, boicottaggi degli imbarchi degli armamenti: è così che i portuali in questi mesi si sono battuti per evitare complicità italiane nei crimini di guerra riconosciuti dall’Onu ad opera dei sauditi in Yemen.
Il conflitto in Yemen è una delle guerre più taciute nel dibattito pubblico in questi ultimi anni, dove tutti sono pronti a dichiararsi pacifisti per poi diventare proni di fronte agli interessi commerciali.
Come scrive Giulio Cavalli proprio da queste colonne, è una storia lunga che inizia con lo scorso governo e continua imperterrita come se nulla fosse, con l’Italia, sempre così intenta a cacciare le navi dei migranti, che allarga le braccia per accogliere invece le navi di morte (morte vera, lo dicono i numeri e lo dicono le numerose testimonianze fotografiche che ci mostrano i civili coinvolti nel sanguinoso conflitto).
Parola d’ordine: boicottaggio
“Siamo i portuali di Genova scesi in sciopero per bloccare il carico sulla nave Bahri Yanbu e sulla Bahri Jazan dei generatori elettrici spediti dalla vostra azienda alla Guardia nazionale Saudita. Lo abbiamo fatto perché, dopo il blocco del carico dei cannoni a Le Havre da parte dei portuali francesi sulla stessa nave, abbiamo verificato che la Guardia saudita è un corpo militare impegnato nella guerra civile in Yemen, indicata dall’ONU come il teatro di una immane catastrofe umanitaria di cui l’Arabia è uno dei principali responsabili. Noi non crediamo di erigerci al ruolo di salvatori dell’umanità o di giudici dei mali del mondo. Noi vogliamo che l’Italia sospenda la vendita di armi all’Arabia Saudita, unendosi così alla lista di paesi che già lo hanno fatto o lo stanno facendo, ovvero Svizzera, Germania, Austria, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Belgio, Olanda e Gran Bretagna.
Noi apparteniamo a una storia e a una cultura marinara e portuale in cui il soccorso e l’accoglienza sono valori fondamentali e in cui il commercio civile è praticato come mezzo per la prosperità dei popoli. Per questo è intollerabile assistere alla chiusura da parte del Governo dei porti per coloro che fuggono dai teatri di guerra, dalle dittature e dalle privazioni economiche e morali, mentre il Governo li lascia aperti al traffico di armi che producono direttamente e indirettamente quei fuggitivi”.
Lettera aperta che i portuali del CALP hanno scritto ai lavoratori della TEKNEL srl di Roma.
A maggio 2019, grazie al supporto delle associazioni per i diritti umani, si è diffusa la notizia che la nave da carico battente bandiera saudita Bahri Yanbu stava cercando di trasportare bombe e vario materiale militare destinato anche alla guerra in Yemen. Dopo aver caricato munizioni di produzione belga ad Anversa, ha visitato o tentato di visitare porti nel Regno Unito, in Francia e Spagna, per infine attraccare nel porto italiano di Genova all’alba dal 20 maggio scorso.
La Bahri Yanbu appartiene alla maggiore compagnia di shipping saudita, la Bahri, già nota come National Shipping Company of Saudi Arabia, società controllata dal governo saudita, che dal 2014 gestisce in monopolio la logistica militare di Riyadh.
Alla notizia che il cargo saudita puntava alle coste italiane, subito è scattato un tamtam irrefrenabile e senza precedenti.
Associazioni locali, organizzazioni internazionali, sindacati si sono coordinati per mettere in piedi una protesta partecipata e condivisa nel porto di Genova all’alba di lunedì 20.
Sulla banchina genovese il cargo è stato accolto da un centinaio di portuali, attivisti per i diritti umani, cittadini solidali, antimilitaristi e scout.
Alla fine la Bahri Yanbu ha lasciato il porto di Genova la tarda sera del 20 maggio senza caricare nuove armi.
Questo risultato non sarebbe stato raggiunto senza il coraggioso impegno dei portuali di Genova, sostenuti dai delegati Filt-Cgil, che hanno indetto uno sciopero per “non macchiarsi le mani di sangue”.
La nave si dirigerà verso Alessandria D’Egitto e non ha imbarcato né i cannoni né i generatori elettrici militari. Nel porto sventola ancora lo striscione con su scritto: “Stop ai traffici di armi, guerra alla guerra”.
Una nuova nave cargo della compagnia saudita Bahri dovrebbe imbarcare i 4 gruppi elettrogeni della Teknel che, a seguito delle mobilitazioni dei portuali, erano stati trasferiti al Centro smistamento merci per essere ispezionati.
La mobilitazione ricomincia. Con il supporto di Amnesty International Italia, la sollecitazione si fa più forte e i portuali, gli attivisti e i cittadini uniti riprendono la battaglia.
Per Teknel, l’azienda romana che ha prodotto e venduto all’Arabia Saudita, si tratta di generatori a uso civile destinati alla guardia nazionale saudita. La contro-documentazione messa a disposizione dall’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza (Opal) di Brescia dice invece altro: i generatori – come documenta la Relazione governativa sulle esportazioni di materiali militari (si veda foto allegata) – fanno parte di un ordinativo di 18 gruppi elettrogeni del valore 7.829.780 di euro la cui esportazione è stata autorizzata alla Teknel da parte del competente organo nazionale, l’Autorità nazionale – Uama (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento) che fa capo al Ministero degli Esteri.
Alla fine i portuali sono riusciti nel loro intento di bloccare il carico d’armi destinato alla Guardia Nazionale Saudita. Dopo una settimana di mobilitazione, a poche ore dallo sciopero indetto dalla Filt Cgil e dal picchetto di protesta convocato all’alba di domani ai varchi portuali da parte di diverse associazioni che avrebbero tentato nuovamente assieme ai camalli di impedire l’imbarco della “Nave delle armi”, durante il presidio di protesta davanti alla sede dell’Autorità Portuale, arriva la comunicazione ufficiale della ditta esportatrice che rinuncia all’imbarco e comunica la decisione di ritirare dal porto gli otto generatori destinati alla Guardia Nazionale Saudita.
“La nave è entrata stamattina, 11 luglio, alle sei e dal personale che vi lavora sappiamo che ci sono molte armi a bordo”, scrive Madi Ferrucci che raccoglie le dichiarazioni di Rosario Carvelli, del Collettivo lavoratori portuali di Genova, delegato sindacale della Cgil. Il materiale bellico si trova al primo piano della nave della compagnia saudita Bahri Jeddah. Ripartirà nel pomeriggio e arriverà a Jeddah, in Arabia Saudita, il 20 luglio.
Sono state messe delle guardie armate al controllo dell’accesso della nave che impediscono di entrare a tutti i lavoratori che non sono direttamente coinvolti nell’operazione. A Genova non si imbarcheranno armi, solo impianti e tubature per l’estrazione del gas. “Sulla nave ci sono 12 containers di esplosivi e 15 velivoli Boeing Chinook 15 CH-47 F di produzione statunitense destinati all’Indian Air Force: un supermercato della morte”, dichiara.
Dicembre
Continuano le proteste. Il 21 dicembre, un centinaio di persone tra portuali del Calp e associazioni tra cui Emergency e Amnesty International ha partecipato questo pomeriggio a un presidio sotto la Prefettura di Genova per chiedere al governo di chiudere i porti alla guerra, in particolare alla flotta delle navi saudite della Bahri che transitano mensilmente dallo scalo genovese.
“Pretendiamo che il lavoratori del porto di Genova – spiega José Nivoi del Collettivo autonomo lavoratori portuali – non siano impiegati nelle navi dove si trasportano armi, esplosivi e carri armati perché sta diventando anche un problema di sicurezza personale. Per questo chiediamo che all’interno del porto di Genova non transitino armi che vanno sui teatri di guerra per offendere popolazioni civili come nel caso dello Yemen”.
La guerra in Yemen e lo stop all’export da parte della Camera dei Deputati
In Yemen da allora si contano oltre 17.000 vittime civili. Secondo gli ultimi dati Oxfam 24,1 milioni di abitanti su 28,5 dipendono dagli aiuti umanitari per sopravvivere e nel Paese è scoppiata un’epidemia di colera che ha già contagiato 1,3 milioni di yemeniti.
Il 26 giugno la Camera dei Deputati ha approvato una mozione per il blocco dell’esportazione e del transito di bombe d’aereo e missili verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ma dalla mozione restano ancora fuori le armi leggere: pistole e fucili continueranno a essere vendute.
Nel corso del 2018, secondo i dati riportati da Giorgio Beretta sul Manifesto, l’Italia ha inviato in Arabia Saudita 1,3 milioni di dollari di armi leggere di cui 129.746 di pistole e revolver e 1.202.268 di fucili.
Mentre stando ai numeri del Tesoro il governo saudita ha versato circa 2,8 milioni all’italiana Beretta. I dati della relazione governativa pubblicata a maggio di quest’anno ci dicono inoltre che l’Italia ha autorizzato la vendita di 13,3 milioni di euro di armi ai sauditi. Il business non si ferma.
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