Ex bracciante agricola, sindacalista e in possesso di una licenza di terza media. Questo, molto in sintesi, è il curriculum del neo-ministro dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, un curriculum che sta facendo molto discutere in rete.
Da ore, infatti, sui social quasi non si parla d’altro: da un lato una moltitudine di detrattori punta il dito contro Bellanova – considerata inadeguata a ricoprire un ruolo ministeriale per via di quel basso titolo di studio – dall’altro lato i colleghi dem la difendono a spada tratta sostenendo sia una persona assolutamente preparata e competente nonostante la terza media.
Teresa Bellanova (qui un suo profilo) non è un outsider della politica italiana: eletta deputata per la prima volta nel 2006, nel corso della sua lunga carriera all’interno delle istituzioni ha ricoperto svariati ruoli di peso ed è stata sottosegretario al Lavoro e alle politiche sociali durante l’esecutivo Renzi e viceministro dello Sviluppo Economico durante il governo Gentiloni.
Nonostante ciò, da ore è sottoposta a un vero e proprio fuoco di fila a causa del suo titolo di studio. “Un ministro con la terza media, poi parliamo di meritocrazia”, è uno dei commenti più gettonati su Twitter.
“Per partecipare al concorso bandito dal ministero dell’Agricoltura bisogna avere almeno il diploma, chi guida lo stesso ministero ha la terza media”, fa eco un altro utente.
I colleghi del Partito Democratico non hanno affatto preso bene la polemica che si è abbattuta su Bellanova e hanno iniziato a replicare a ogni accusa sottolineando l’indiscutibile valore umano e professionale del neo-ministro dell’Agricoltura e rimarcando che la nomina a ministro di una persona con un basso titolo di studio è più che legittima e proprio il fatto che anche una ex bracciante agricola che non ha potuto studiare possa arrivare a ricoprire un ruolo così importante è uno dei massimi pregi del nostro sistema democratico.
La difesa dei dem non fa una grinza, anzi: Teresa Bellanova ha tutto il diritto di poter diventare ministro e di non essere presa in giro per il suo passato studentesco o professionale.
C’è un però: a puntare il dito contro le mancate lauree e i lavori umili di alcuni parlamentari sono stati per anni e per primi proprio gli esponenti del Partito Democratico. Storici, ma anche piuttosto recenti, sono i molteplici attacchi sferrati dai dem nei confronti degli oggi alleati grillini: Luigi Di Maio da anni viene chiamato “il fuoricorso” e “il bibitaro” per la mancata laurea in giurisprudenza e per la sua umile esperienza lavorativa da steward allo stadio San Paolo di Napoli.
E poi, ancora: la senatrice Paola Taverna, più volte vilipesa per la sua esperienza da segretaria in poliambulatorio di analisi cliniche.
Anche in quel caso, in molti hanno puntato il dito contro la mancanza di titoli di studio e di esperienze lavorative adeguate di Taverna, chiamata nel 2018 a ricoprire la carica di vicepresidente del Senato.
Non solo: nel 2019, in un’intervista concessa a Tpi, Taverna ha raccontato ai lettori della sua decisione di tornare sui banchi dell’università per studiare Scienze politiche e di quanto questa scelta abbia cambiato il suo modo di pensare e di vedere le istituzioni.
Anche in questo caso, per giorni Paola Taverna è stata schernita e presa in giro per questa tardiva laurea. Da chi? Proprio da esponenti del Partito Democratico.
E quindi, qual è il punto del discorso? Molto semplice: fa sorridere che a stracciarsi le vesti per la polemica scatenatasi sulla terza media di Teresa Bellanova siano proprio i dem, che per anni hanno puntato il dito contro i colleghi parlamentari sventolando lo stesso tipo di argomentazione che oggi considerano anti-democratica e puerile.
Un conto è criticare gli scivoloni, gli sfondoni e le mancate competenze di un avversario politico, come ad esempio era più che legittimo fare con le pericolose prese di posizione sui vaccini della senatrice Paola Taverna o quelle in politica estera di Luigi Di Maio, un conto è puntare il dito contro qualcuno giudicandolo per il mancato diploma, la mancata laurea o ridere del fatto che abbia dovuto svolgere lavori considerati umili.
Proprio perché la Costituzione italiana permette a chiunque di essere eletto in parlamento e di ambire a una posizione politica di rilievo anche in assenza di titoli di studio e professioni importanti, non ha alcun senso vilipendere qualcuno per questo.
Anche i grillini non sono stati esenti da attacchi del genere, sia ben chiaro. L’ex ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli è stata messa sulla graticola per il suo diploma da assistente sociale, l’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando è stato preso in giro per la sua umile maturità scientifica, stesso discorso per l’ex ministro della Salute Beatrice Lorenzin in possesso di una “banale” maturità classica.
Allora, forse, proprio perché riconosciamo l’importanza del principio democratico che permette a chiunque di poter ambire a diventare ministro dovremmo piantarla con queste sterili critiche che peraltro si ritorcono sempre contro chi le muove.
Parliamo di competenze, critichiamo gli errori, ma non basiamoci più sul titolo di studio o sul lavoro pregresso per svilire un avversario politico.