Prima osservazione: se un decreto come quello sul super green pass (a proposito, forti questi nomi come livelli di un videogioco) fosse uscito da un governo che non fosse “dei migliori” oggi avremo le pagine dei giornali che grondano vendetta e certi Mattei che si starebbero immolando sull’altare della libertà usurpata. Funziona così: offrire a tutti un posto a tavola funziona da bromuro anche per i rivoluzionari più incalliti.
C’è da tutelare la salute pubblica, questo è chiaro a tutti, e c’è da evitare il sovraffollamento degli ospedali di fronte a dati che non sono confortanti. Mario Draghi (che in cuor suo, c’è da scommetterlo, tutto si augurava tranne che una quarta ondata che rischia di offuscare la narrazione dell’uomo della ripartenza) dice che bisogna “prevenire per conservare”, questo sarebbe il sentimento del nuovo decreto. Solo che il principio di precauzione è sempre un rischio perché in nome della prevenzione può valere tutto e il suo contrario. Il principio di precauzione tra l’altro è anche una scappatoia politica che nulla ha a che vedere con il piglio decisionale che qualcuno si ostina a voler intravedere in questo governo: diciamocelo chiaramente, qual è l’obiettivo del green pass?
Sarebbe bello sentire la politica dire chiaramente che il super green pass è l’affilamento del tentativo precedente di obbligare i no vax a vaccinarsi senza avere il polso di imporre un obbligo vero per non gravare sugli ospedali che stanno andando in sofferenza. Solo che se Draghi o chi per esso avesse dichiarato apertamente il fine di questo decreto avrebbe dovuto dirci (perché così dice la legge e la Costituzione) quale sarebbe la percentuale di vaccinati che si deve raggiungere per la decadenza dello stato d’emergenza (precauzionale) e avrebbe dovuto dirci in quanto tempo il governo pensa di raggiungere quella percentuale. Il diritto, come ha ripetuto più volte la Corte costituzionale, si fonda sulle evidenze scientifiche fotografate in un determinato momento. Con l’obbligo di green pass, anche se rinforzato, invece sembra valere tutto. La “preoccupazione” non è una base giuridica su cui emanare decreti. Tutti i provvedimenti che limitano la libertà (anche in un periodo di difficile pandemia come questo dove le situazioni si evolvono rapidamente) hanno bisogno di essere supportati da criteri di proporzionalità, necessarie e adeguatezza ma la sensazione è che, anche in questo caso, si ritenga tutto questo un burocratico fastidio da poter scavalcare in nome della suprema preoccupazione.
E invece no, non funziona così. E finché non si capirà che proprio la debolezza giuridica di queste scelte è il più gran regalo che si possa fare ai contestatori incalliti, si continuerà a essere facilmente criticabili e colpiti nella propria autorevolezza. Come nel caso dei vaccini che sono stati proposti come “liberazione immediata di tutti i rischi” (errore della politica e di certa scienza troppo impegnata a incensarli per convincere senza prendersi la responsabilità di raccontare la complessità che comunque è sempre a favore dei vaccini) ci si ritrova di fronte a un certo paternalismo che deve valere come giustificazione di tutto.
Come sta facendo notare qualcuno c’è un’enorme differenza tra scegliere il super green pass come condizione necessaria per andare al cinema o al ristorante rispetto a un obbligo vaccinale che avrebbe avuto come sanzione il non entrare in un cinema e in quello stesso ristorante. Fingere di non capirlo renderà tutto molto più complicato. Il presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick ripete che l’obbligo vaccinale sarebbe un intervento “più lineare e consentito dalla Costituzione” ma per farlo serve fare politica sul serio, non basta sembrare buoni padri di famiglia profondamente preoccupati.