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    La politica spara su Stellantis, ma finge di dimenticare le sue colpe

    Credit: AGF

    L'azienda resta la principale colpevole per la crisi dell'auto italiana, ma il "livore" dei parlamentari contro Tavares non li assolve dalle loro responsabilità: per troppo tempo i partiti sono rimasti a guardare mentre le fabbriche si svuotavano. Adesso è tardi per indignarsi

    Di Enrico Mingori
    Pubblicato il 14 Ott. 2024 alle 09:41 Aggiornato il 14 Ott. 2024 alle 09:50

    «Sento da parte vostra un certo livore, lo stesso atteggiamento che hanno i lavoratori», ha lamentato Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, durante la sua recente audizione davanti al Parlamento italiano. In effetti, lo scorso 10 ottobre deputati e senatori sono sembrati a tratti un vero e proprio plotone d’esecuzione schierato contro il manager. Ostili, inquisitori, quasi rabbiosi. Da tutti i partiti sono arrivate due reprimende: tra i più duri Schlein e Conte, mentre Salvini – assente all’incontro – si è addirittura spinto a dire che Tavares «dovrebbe vergognarsi».

    Ma se il «livore» dei lavoratori – sostanzialmente impotenti rispetto al disastro che si sta consumando sulla loro pelle – è più che giustificato, altrettanto non può dirsi dei nostri politici, i quali mai negli ultimi decenni hanno manifestato una tale determinazione nel richiamare il mondo delle imprese alle proprie responsabilità. E certo finora non lo avevano fatto nemmeno nei confronti di Stellantis o Fiat.

    Intendiamoci, il principale colpevole per la deriva in cui si ritrova l’industria italiana delle quattro ruote rimane senza dubbi l’azienda, che ancora gode del privilegio di essere l’unica casa costruttrice presente in Italia nonostante abbia ripetutamente tradito le promesse fatte su investimenti, occupazione e volumi produttivi.

    Tavares denuncia di essere vittima di un meccanismo a tenaglia sulle auto elettriche imposte dall’Ue – da un lato produrle costa il 40% in più rispetto a quelle endotermiche, dall’altro le concorrenti cinesi costano il 30% in meno – ma trascura il fatto che la crisi investe anche le immatricolazioni di benzina e diesel (rispettivamente a -19% e -29% nel mese di agosto). E non può essere colpa dell’elettrificazione, se Fiat ha perso nell’ultimo anno il primato di marchio più venduto nel nostro Paese, superato prima da Volkswagen e poi da Toyota. Quanto alle auto a batteria, va ricordato che le fabbriche italiane scontano un ritardo che risale ai tempi del santificato Marchionne e che Stellantis – così come le altre case europee – si è comunque opposta ai dazi decisi dall’Ue sulle e-car cinesi. Infine, Tavares risulta poco credibile nel piangere miseria dopo aver distribuito negli ultimi due anni ai propri azionisti la cifra esorbitante di 11,3 miliardi di euro a titolo di dividendi.

    C’è poco da discutere, insomma, sulle manchevolezze di un gruppo che dal 2021 a oggi ha ridotto la propria forza lavoro in Italia del 14% e che intanto delocalizza in Est Europa e Africa la produzione di modelli simbolo del Made in Italy.

    D’altra parte, però, prima di puntare il dito, deputati e senatori – fatta eccezione per Calenda e pochi altri – dovrebbero fare dell’onesta autocritica. Troppo facile fare la voce grossa ora contro la multinazionale partecipata dagli odiati Agnelli-Elkann.

    Dov’era la politica mentre gli stabilimenti si svuotavano? A Mirafiori, tanto per citare l’esempio più eclatante, sono oltre quindici anni che la cassa integrazione è di fatto strutturale.

    Dov’erano i partiti che oggi strepitano, quando l’Italia veniva superata da Repubblica Ceca e Slovacchia per numero di auto prodotte? Perché, in cambio dei continui contributi pubblici di cui Fiat e Stellantis hanno beneficiato negli anni, non sono stati chiesti impegni vincolanti a tutela dell’occupazione? E perché, al momento della nascita della multinazionale franco-italiana (ma con sede ad Amsterdam), non si è trattato per far entrare il nostro Stato nel capitale sociale (come fece invece l’Eliseo)?

    Adesso è tardi per indignarsi. E non bastano gli incentivi all’acquisto per far decollare le vendite di auto elettriche: servono piani di riconversione per accompagnare la filiera e investimenti sulle infrastrutture di ricarica.

    Per troppo tempo, governi di ogni colore sono rimasti a guardare. Oggi che l’industria dell’auto è sul letto di morte, per i nostri politici torna buono un celebre verso di Fabrizio De André: «Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti».

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