Come prevedibile, la guerra in Ucraina ha travolto anche l’informazione italiana. Il dibattito è polarizzato su due fazioni – il più delle volte contrapposte a priori ideologicamente – che combattono dalle postazioni delle loro redazioni o dai salotti dei talk-show televisivi. E che hanno dismesso i panni della stampa, indossando oggi gli elmetti di guerra.
I fatti perdono d’importanza. I dubbi, leciti e doverosi in un contesto di guerra, lasciano spazio a opinioni personali. Al punto che la comprensione degli eventi è quasi impossibile e il pubblico rimane senza risposta. Con buona pace del pluralismo e del patto di fiducia tra giornalismo e società.
Naturalmente esistono diversi validi cronisti, ancora oggi impegnati sul campo in Ucraina, che fanno un lavoro impeccabile. Ma qui parliamo di due categorie ben precise: da un lato ci sono gli ascrivibili al cosiddetto “pensiero unico”, di cui la stampa armata italiana si è fatta in larga misura portatrice nelle ultime settimane; dall’altro gli iscritti tra le file degli “eretici anti-sistema”.
Ora, con alcune rare eccezioni, secondo questo schema mediatico i primi sarebbero: anti-Putin, quindi estimatori di lunghissima data di Zelensky (sic), fautori del pensiero libero e a favore dell’invio di armi agli ucraini. I secondi, di conseguenza e per indotto contrasto, sono presunti filo-Putin, presunti anti-Zelensky e contrari ad armare la resistenza ucraina. Le regole per far parte del club? Essere preparati su ogni aspetto quanto basta da attaccare l’avversario senza entrare nel merito delle cose, utilizzare frasi fatte e soprattutto non ammettere mai il minimo confronto con chi la pensa diversamente.
Questo corto circuito fa sì che in Italia si parli oggi più delle ragioni degli uni e degli altri anziché del conflitto stesso. Con la certezza che questi signori finiscano, forse loro malgrado, per fare il gioco della propaganda delle due parti coinvolte, gli ucraini e i russi, e che rischino di diventare essi stessi veicoli di informazioni fuorvianti.
La guerra è terribile. Sempre. Produce morti, feriti, violenta la vita delle persone e le abbandona al loro destino. Nel conflitto in Ucraina Vladimir Putin è l’aggressore e gli ucraini gli aggrediti.
Ma il fatto è proprio questo: in qualsiasi guerra non esistono buoni e cattivi, benché sia emotivamente comprensibile schierarsi a favore di chi è aggredito. Non è certo compito del giornalismo quello di prendere parte quanto, se mai, di raccontare tutti gli aspetti, di entrambe le parti, con la stessa oggettività.
Ben vengano commentatori o opinionisti, ma il confronto fra gli eretici e gli allineati non può essere – nella riproduzione sulla stampa e tv – il modo principale con cui informare su questo conflitto.
E visto che trattasi della sfida per un nuovo ordine mondiale, va da sé che a farsi largo nel circo mediatico siano soprattutto le posizioni di coloro che fanno eco (e quindi propaganda) a chi questa guerra la sta combattendo per procura: l’America, da un lato, con il suo supporto all’Ucraina e la battaglia per preservare la liberal-democrazia (interessi egemonici inclusi); la Russia, dall’altro, con il sostegno dei non-allineati, e il perseguimento di Russky Mir (interessi egemonici inclusi).
Il circo mediatico di cui sopra restituisce una realtà parziale, semplicistica e profondamente ideologica di questa guerra che non tiene conto delle complessità che la riguardano. Una fotografia dello stato di salute dell’informazione nel nostro Paese.Prendete il tema delle armi: il 54 per cento degli italiani sono contrari all’aumento delle spese militari, tema delicato e strategicamente importante ma ridotto a mero dibattito tra pacifisti vs bellicisti. Il servizio pubblico della Rai, controllato dalla politica, e quindi dai partiti (tutti quanti favorevoli al riarmo salvo i 5s) ha dato conto tramite i propri Tg nazionali di questa parte maggioritaria della popolazione, affrontando in maniera approfondita le motivazioni e le conseguenze delle spese militari? Risposta: mai.
Lo stesso vale per l’Ucraina. Nel pensiero binario non è ammesso chiedersi nulla. Chi lo fa viene tacciato di essere filo-Putin. Che già pensarlo, o scriverlo, fa sì che tu possa essere inserito in qualche lista di proscrizione tra i supporter di Vlad the Mad. Un’auto-censura gravissima, forse al pari della censura. Che modo di ragionare è questo? Cosa ci è successo? Non è ammissibile che il racconto del conflitto sia schierato a prescindere. L’unico motivo per cui può esserlo, tralasciando la giusta causa di stare dalla parte di chi è aggredito (e questo in ogni caso non significa che non sia possibile porre domande, dubitare, verificare, raccontare anche l’altra faccia della medaglia), è la subalternità culturale del nostro Paese, privo di una propria visione e posizione nel mondo, agli Stati Uniti, che invece hanno tutti gli interessi a raccontarsela così.
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