Questa è la stagione dei referendum traditi. Una pagina triste per la nostra democrazia. Non mi aspettavo che venissero annullati dalla Consulta in questo modo, con una presa di posizione politica e ideologica. Due temi come il fine vita e la cannabis non si meritavano questi rifiuti. Più che arrabbiati, noi dell’Associazione Luca Coscioni – che ha promosso entrambi i quesiti – siamo tristi, almeno io. Tutte le cose che facevo nella mia vita passata erano insieme a mio marito, Piergiorgio Welby, e ancora oggi mi chiedo sempre: “Cosa direbbe lui? Cosa farebbe lui?”. Anche oggi mi faccio la stessa domanda. E lui sarebbe molto, ma molto, deluso per questi “No”. Ripenso spesso alla legge 219 del 2017, votata in un freddo 22 dicembre per introdurre il testamento biologico o «disposizioni anticipate di trattamento». Lì non ci potevo credere, mi sembrò una vittoria strabordante. Ma era solo un inizio.
Adesso vedo la politica così lontana dalla volontà popolare. E non so se questo dipenda dalla poca sensibilità o dalla scarsa visione. Se i politici stessero anche solo qualche ora con dei malati gravissimi e irreversibili, credo che la penserebbero diversamente sull’eutanasia. Per esempio, mio marito negli ultimi tempi aveva necessità continua di espandere il polmone. Una volta presa la decisione, è bastato interrompere la ventilazione, sedandolo per non fargli accusare soffocamento. In quaranta minuti Piero non c’era più. Così se n’è andato nel 2006 in tranquillità, senza sussulti. E io, come gli avevo promesso, non mi sono messa a piangere. Ho continuato a sorridere, questo mi ha permesso di andare avanti. E di non mollare la battaglia nonostante la mia età. Così fino all’ultima sfida, la campagna per il referendum, che è stata un’immersione nel Paese più vera e più calorosa. Devo confessare che quando Marco Cappato comunicò «dobbiamo raccogliere 500mila firme per il referendum», io mi sono sentita gelare. Pensavo fosse impossibile. Ma di banchetto in banchetto, di città in città, l’entusiasmo cresceva. Venivano a firmare ragazzi con i loro genitori, anziani, studenti. In soli tre mesi, anche prima che arrivasse la possibilità della firma digitale, i cittadini erano realmente interessati al tema. In Val di Fiemme, in Trentino, ho visto gente addirittura correre ai tavoli. Così abbiamo oltrepassato 1 milione e 240mila firme. A cui i miscredenti con grande cattiveria non volevano credere, perché la Cassazione ovviamente si è fermata a contare quelle necessarie per l’iter referendario (ovvero 500mila).
È un fiume in piena quello delle persone che vogliono maggiori diritti per la salute fino alla fine della vita. Ma, nello stesso tempo, sono ancora troppo pochi gli italiani che fanno testamento biologico. Depositarlo è importante, sancisce la volontà individuale sul proprio fine vita. Ogni Comune lo inserisce nella banca dati nazionale, da dove viene poi estrapolato inviato un codice che il testatore conserva e con cui i medici identificano ogni paziente e accedono al testamento biologico del paziente. A tutti i sofferenti, devono essere garantiti i protocolli delle cure palliative che tolgano dolore e altre sofferenze fino alla fine, con un supporto psicologico sempre presente. Il medico palliativista è fondamentale: la persona deve essere assistita al meglio, anche con dolcezza. E non sto parlando di amore cristiano, ma di laica umanità. In questo senso deve essere più presente la sanità territoriale. Spesso ci viene chiesto aiuto per persona in stato vegetativo acclarato, che non ha depositato le DAT. In base al Codice Civile può intervenire il giudice tutelare tramite l’Amministratore di Sostegno. Si raccolgono le memorie di parenti e amici su esternazioni sulla fine vita della persona interessata. E’ il modo per dare libertà di decisione sulla propria vita della persona in stato vegetativo. Alla Camera dei Deputati viene discussa una proposta di legge che non va bene. E’ impostata sulla sentenza 242/19 della Corte Costituzionale sul processo a Marco Cappato per Fabiano Antoniani. Ne restano tagliate fuori molte persone affette da patologie oncologiche perché non hanno il supporto di trattamenti sanitari salvavita e altre persone totalmente paralizzate che non possono più attivare un deflussore della flebo. Diventerebbe una legge solo per il suicidio assistito, dove il medico prepara il farmaco e il paziente se lo autosomministra. Ma serve anche un medico pietoso che pratica la somministrazione a chi non è più autonomo.
A volte, finchè qualcuno non le fa, le cose sembrano impossibili. Nel 2006 la scelta di Piergiorgio fu giudicata dai moralisti, ma poi fu apripista per una grande fetta di popolazione. È un peccato, ma abbiamo sempre bisogno di un precursore, di un caso. Anche per temi forti e sentiti come eutanasia e cannabis. Se la politica non risponde, bisogna incentivarla, dico io. Voglio ricordare cosa è successo in Olanda: oltre ad altre indagini sull’eutanasia clandestina, due medici hanno dato aiuto a morire a un loro paziente. Sono stati processati. In questo modo si è convinto il parlamento di legiferare. Ora che i Referendum sono stati bocciati, in Italia la palla è al Parlamento. Servono davvero altri casi, altri precursori per migliorare la proposta di legge?
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