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    Capitalismo spaziale: i super ricchi vanno sulla Luna mentre sulla Terra si muore di fame, alluvioni e virus

    Di Barbara Di Giacomo
    Pubblicato il 21 Lug. 2021 alle 13:02 Aggiornato il 22 Set. 2021 alle 17:37

    In un mondo che viaggia a velocità folle verso la cancellazione totale dei diritti minimi acquisiti negli ultimi cento anni dal 99 per cento della popolazione globale, non si può far finta di niente di fronte all’immoralità della corsa alla conquista dello spazio ingaggiata, in questi giorni, da Jeff Bezos e Richard Branson, esponenti di spicco del restante 1 per cento che non sa più come spendere i miliardi che accumula, spesso, a discapito della maggioranza della popolazione mondiale.

    Per carità, che nessuno parli di indecenza d’intenti di fronte alle sublimi menti imprenditoriali dei due Tycoon anglosassoni impegnati a sfidarsi con i giocattolini spaziali mentre il resto del mondo fatica ad arrivare a fine mese, quando ci arriva. Non sia mai che qualcuno si permetta di mettere in discussione il mito liberista del self made man e dei privilegi conquistati con il duro lavoro. Mica siamo alla corte del Re Sole o di Ramses II, fortunati eredi senza qualità di dinastie secolari da rovesciare con moti popolari, no: siamo nell’era della proprietà intellettuale e della tutela dei suoi derivati individualistici. 

    E guai a chi li tocca.

    Poco importa che il tutto risulti sempre più stridente come un’unghia che solca una lavagna mentre si cerca di scrivere con il gesso le nuove regole di una vita sempre più difficile, insostenibile e sperequata. E proprio le vittime di queste disuguaglianze applaudono all’impresa, distratti da un’informazione inadeguata a base di lustrini e coreografie ammiccanti e anestetizzati da decenni di individualismo promossi da Ronald Reagan e Margaret Thatcher, veri pionieri del liberismo attuale e naturali progenitori dei due neo-eroi spaziali, che, in maniera surreale, hanno sostituito le superpotenze nazionali russe e statunitensi nella corsa al superamento della linea di Kármán.

    Se negli anni Sessanta la lotta era appannaggio esclusivo degli Stati più danarosi e oggi, invece, si gioca, mettendo mano ai portafogli più gonfi del globo, che, di certo, non hanno a cuore i “grandi passi per l’umanità”, ma piuttosto i grandi balzi in positivo delle loro immense fortune, abbiamo un problema.

    E il problema è tanto più grave se, in epoca pandemica, mentre la gente muore di fame e di virus, e mentre il pianeta è sull’orlo del collasso, nessuno si alza per dire che il Re è nudo e che la misura è colma.

    E se Branson, almeno, ha la faccia di ammettere che dietro la corsa alla conquista dello spazio ci sono le sue sempreverdi mire imprenditoriali, volte ad assicurarsi il futuro del turismo spaziale, Bezos, candidamente battezza la sua missione Blue Origin, sottintendendo le future sorti dell’umanità, costretta a vivere su stazioni orbitanti a causa delle condizioni inospitali di un pianeta spremuto dai miliardari come lui.

    Se il guardare i due lanci nello spazio non ci provoca un moto di indignazione nei confronti di due individui che sborsano 32mila euro al secondo per conquistare il futuro mercato dei viaggi spaziali – spacciato come sogno a lungo inseguito, nella migliore narrativa liberista americana del mito dell’uomo che si è fatto da solo – abbiamo un serio problema di comprensione della realtà.

    Nessuno vieta ai miliardari di utilizzare i propri soldi come meglio credono, ma che almeno si alzino dei cori di dissenso dai miliardi di persone in povertà estrema per dire che tutto questo è immorale.

    Per dire che in una pandemia, che ha accelerato i già sincopati ritmi di una civiltà al collasso, guidata e depredata dalle insostenibili leggi del mercato neo-liberista, principale responsabile della deriva medievale in atto, che sta erodendo, a poco a poco, i diritti acquisiti in secoli di lotta sociale, spendere cifre esorbitanti per togliersi un capriccio (che poi non è nemmeno vero), e lasciarsi tutto alle spalle per attraversare l’atmosfera, producendo tonnellate di CO2 e incenerendo i miliardi dei nostri stupidi risparmi regalati a Bezos per comprare un caricatore Amazon Basic, è una boiata pazzesca.

    Ma nelle trionfanti cronache apparse in questi giorni su stampa e televisioni che incensavano l’impresa dei due super ricchi non c’è un ragionier Fantozzi a prendersi le nefaste conseguenze di tale affermazione, ma solo un coro di approvazione per la conquista dello spazio per le masse.

    Mi sembra già di vedere gli operai della Whirlpool e dell’Ilva che esultano al pensiero di poter andare finalmente in orbita, così come le centinaia di migliaia, se non milioni, di persone danneggiate irreparabilmente dalle politiche economiche iper aggressive di Bezos, che hanno sicuramente stappato una bottiglia di Dom Perignon, festeggiando l’avvento del tanto desiderato turismo spaziale, destinato a sollazzare dal tedio i futuri, sempre più rari ed avidi, super mega ricchi.

    Se alla fine degli anni Sessanta, in pieno boom economico e ben lontani dalle difficoltà innescate da una pandemia, Gil Scott-Heron si lamentava dell’immoralità della missione Apollo, imputando l’aumento delle disuguaglianze sociali ai “Whitey on the moon”, oggi, grazie alle politiche liberiste inaugurate negli anni Ottanta, non possiamo nemmeno più prendercela con lo Stato se gli affitti e le tasse si alzano per mandare i bianchi sulla Luna. 

    Perché lo Stato non c’è più. 

    Al suo posto ci sono le multinazionali e i super ricchi che in orbita ci vanno, passando sulla pelle di tutti noi, per poi rivenderci il biglietto, senza nemmeno chiedere scusa.

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