“Genio è chi lo Genio fa”, potrei dire parafrasando Forrest Gump. Un tipo candido che spesso ci imbroccava e che (giustamente) non si fidava delle apparenze. Ecco, Marco Castoldi in arte Morgan è uno che col candore ha poco a che fare, e che ci imbrocca raramente. Eppure col tempo una fetta non residuale di pubblico si è convinta che sia una specie di Genio della musica. Come ciò sia potuto accadere, con quale perverso passaparola o artificio comunicativo, rientra fra i misteri gaudiosi (e spesso dolorosi) del nostro star system da barzelletta. A meno che sia sufficiente non tingersi più i capelli, pettinarli ad cazzum, truccarsi un po’ e vestirsi in modo eccentrico, per acquisire immediatamente la patente di Genio.
Voglio dire: anche Pippo Franco, del quale peraltro ho molta più stima e considerazione artistica che non di Morgan, vestiva con giacche eccentriche, ma nessuno si è mai sognato di beatificarlo. Nonostante abbia scritto e cantato (senza stonare) nel 1979 “Mi scappa la pipì papà”. Una canzoncina per bambini che credo abbia venduto, da sola (e stando bassi) più di tutta la discografia del piratino milanese. Ma erano anche altri tempi per la discografia, va detto. Dice: non fare così, non guardare solo alle vendite (che fino a prova contraria, comunque, sono un buon parametro); pensa ai pezzi, all’Arte con la maiuscola. Sul fatto di essere fiero e tronfio paladino dell’Arte vera, il nostro marcia da buona parte dei suoi 47 anni. Lo fa pesare, e anche parecchio, a ogni piè sospinto. Da una parte ci siete voi, gli incolti; dall’altra ci sono io, l’Artista. L’Incompreso. Il Poeta Maledetto. Che poi è anche un gran bell’alibi, vivere in uno stato di maledizione in servizio permanente effettivo. Puoi permetterti quasi tutto. Come Sgarbi quando ripete “Capra!”.
Morgan ha debuttato nel 1991 fondando i Bluvertigo. Il suo pezzo più noto e realmente ispirato, come solista, è “Altrove”, che risale all’aprile 2003, quasi 17 anni fa. Prodotto da quel Genio (vero) che è Roberto Colombo. Da lì in poi, si naviga a vista. Provate a chiedere a chiunque, a bruciapelo, a volte anche nell’ambiente musicale, il titolo di una canzone di Morgan. Noterete nel soggetto, in genere, uno stato di confusa vacuità che può sfociare nello stupore e nel coma. “È un medicinale, leggere attentamente le avvertenze” (cit.). Se una canzone è così straordinaria da regalarti emozioni vere, colazioni e partiture da campioni, te la ricorderai, no? Invece, niente. L’imbarazzato silenzio. Non parliamo poi della voce, che – a detta di tanti del mestiere – non è proprio un punto di forza (uso un garbatissimo eufemismo) del nostro esimio polistrumentista dall’autostima fuori controllo.
Dov’è, quindi, la Genialità? Sta essenzialmente nel proporsi sui media come il biglietto da visita della medesima. Mi spiego meglio: Morgan va in tv e il suo sottopancia virtuale è “Genio”. Ma se io sul mio biglietto da visita scrivo “Brad Pitt”, purtroppo mi sgamano subito. Morgan invece, giocando sull’immaterialità del concetto, riesce a fare in modo che qualcuno abbocchi. Merito, forse, dell’unica cosa che ha fatto veramente bene per alcuni anni: il giudice a “X-Factor”, talent show popolare al quale ha partecipato dopo aver sputato per anni sui talent-show popolari. Lo faceva peraltro di tanto in tanto anche quand’era in onda. Chiedete a Sky: c’è gente che ancora si sveglia di notte in un bagno di sudore.
Eppure in quel contesto il nostro ha potuto dare sfogo, con enfasi infinita e luciferini scazzi, alla propria dialettica e a una buona competenza musicale. Ma competenza non significa necessariamente genialità. Sono due cose estremamente diverse. Poi ci sarebbe anche l’inaffidabilità. Ma per quella si incolpa il mito delle dipendenze morganiane, seconde nelle boutade che circolano sul web soltanto a quelle legate a Lapo Elkann.
L’unico vero talento dell’Incompreso Morgan è sapere giocare come nessuno, con astuzia e calcolo, con gli sciocchi meccanismi mediatici: riesce a creare polemichette ad arte, che poi gonfia e sgonfia nello spazio di un talk-show, dove interviene, lautamente pagato, allo scopo di dare al programma qualche mezzo punticino di share in più. E così rimane in vita, in attesa del prossimo che lo chiami (perché è Morgan) e che lo accompagni poi alla porta (perché si è comportato da Morgan). Non da Genio. In uno stucchevole gioco delle parti che si può ripetere all’infinito. Come l’ultima pagliacciata sanremese, preceduta dall’autentico scempio di “Canzone per te” di Sergio Endrigo. Un brano celestiale straziato come nessuno avrebbe saputo fare. Prima di farlo a fettine, Morgan non ha risparmiato al pubblico un bel pistolotto sull’importanza di valorizzare i capolavori della nostra canzone. Perché nella vita, la coerenza è tutto.