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    Una sinistra à la Amadeus: antisovranista ma leggera, e non antipatica

    Illustrazione di Emanuele Fucecchi
    Di Roberto Bertoni
    Pubblicato il 11 Feb. 2020 alle 06:09 Aggiornato il 11 Feb. 2020 alle 07:41

    Se anche una testata come la nostra, per vocazione “impegnata” e composta da “malati di politica”, ha avvertito il bisogno di ingaggiare la spumeggiante Selvaggia Lucarelli e di seguire con tanta attenzione la kermesse sanremese significa che qualcosa è cambiato. Mi riferisco al clima, alla visione del mondo ma, ancor prima, al nostro modo di essere.

    Diciamo che si tratta di una fase di crescita e maturazione, di un momento, che spesso nella vita arriva intorno ai trent’anni, in cui ti guardi allo specchio, fai i conti con te stesso e ti rendi conto che si può essere impegnati senza per forza essere seriosi, che concedersi una serata di svago non è poi un crimine, che alleggerire ogni tanto la tensione fa bene a tutti e consente anche di ampliare la propria platea e coinvolgere sui propri temi quella parte del Paese meno appassionata politicamente e civilmente ma non per questo indifferente all’evoluzione della vita pubblica.

    Si tratta di coloro che, semplicemente, preferiscono vivere in maniera discreta e silenziosa la propria vita, che magari non scendono in piazza, che non frequentano circoli culturali e sezioni di partito ma che spesso leggono almeno un giornale, guardano il telegiornale, si informano ed esprimono un naturale bisogno di normalità, di serenità, di pacatezza.

    Mi torna in mente un saggio del professor Ricolfi, uscito parecchi anni fa e intitolato: “Perché siamo antipatici”. Col suo stile irriverente e, a tratti, puntuto ai limiti della fastidiosità, un progressista sui generis scrisse un’interessante denuncia sull’antipatia di una sinistra davvero troppo chiusa in se stessa e, il più delle volte, drammaticamente autoreferenziale. Si sposa alla perfezione con alcune tendenze in atto da qualche anno.

    Al che vien da dire che purtroppo ci ha rovinato Berlusconi o, per meglio dire, il berlusconismo e la fisiologica necessità di opporsi a tutto ciò che esso ha rappresentato nei lunghi anni in cui è stato in auge. La volgarità, la violenza verbale, gli attacchi indiscriminati alla magistratura, certe frequentazioni alquanto discutibili, atti di prepotenza come l’editto bulgaro e tutto l’armamentario dell’uomo di Arcore nel suo insieme ci hanno, infatti, condotto mano nella mano con una serie di personaggi da cui la sinistra avrebbe fatto meglio a tenersi alla larga.

    Non si poteva fare altrimenti, è vero: ci sono fasi storiche nelle quali c’è bisogno di un’unità d’intenti che va al di là delle simpatie e delle appartenenze politiche. Fatto sta che, ora che Berlusconi è di fatto fuori gioco, sarà bene recidere determinati legami. Non perché uno voglia riabilitarlo: lungi da me l’idea. Ma perché è necessario riscoprire alcuni valori essenziali che la sinistra ha accantonato da troppo tempo.

    Innanzitutto, il garantismo. Per anni siamo andati a braccetto con personalità la cui concezione della giustizia non è quella prevista dal dettato costituzionale ma una loro personale interpretazione secondo cui non esistono innocenti, gli innocenti sono, al massimo, colpevoli contro cui non si sono trovate le prove, tutto il mondo è negativo, tutti rubano, istituti giuridici essenziali come la prescrizione, l’amnistia e l’indulto sono favori ai criminali, la pena dev’essere sempre dura e senza attenuanti, il carcere preventivo va benissimo e via elencando, in un crescendo rossiniano di aberrazioni che terrorizzano l’opinione pubblica e, soprattutto, contribuiscono all’imbarbarimento di una società già di per sé abbrutita, al punto che la ministra Lamorgese ha avvertito il bisogno di specificare in un’intervista a Repubblica (a proposito, solidarietà ai colleghi per le intimidazioni ricevute) che l’odio sarà d’ora in poi una priorità del governo.

    In secondo luogo, la leggerezza, intesa non come frivolezza e fatuità ma nel senso calviniano del termine. Ragazzi, siamo diventati pesanti, pesantissimi, insopportabili, grigi e tetri come non mai, prigionieri dei nostri pregiudizi e della nostra incapacità di comprendere il mondo che cambia.

    Se vogliamo risalire la china, dobbiamo trasformarci in una sinistra “à la Amadeus”, recuperare la levità, la poesia, la capacità di affrontare temi importanti col sorriso, di non giudicare male l’altro solo perché è diverso da noi o ha interessi differenti, di renderci conto, tanto per dirne una, che non tutte le donne ambiscono a diventare Nilde Iotti o Rita Levi-Montalcini e che in una società democratica c’è spazio anche per una velina, una valletta, una soubrette, una conduttrice televisiva, una cantante e una modella.

    Oltretutto, quest’idea che se una donna usa il corpo, come avviene nel caso delle modelle, questo fatto costituisca di per sé un insulto o una diminutio delle sue competenze è follia allo stato puro. L’uso del corpo per fini scenici e artistici non pregiudica affatto l’uso della mente, la cultura, l’intelligenza, la bravura e la saggezza, come confermano ex concorrenti di Miss Italia come Anna Valle e Miriam Leone, oggi splendide attrici, e l’ex velina Elisabetta Canalis, attrice e donna di spettacolo di altissimo livello.

    Puntare sempre il dito, ingigantire ogni dichiarazione e chiamare in causa i massimi sistemi, per lo più a sproposito, ci fa sembrare dei tromboni sfiatati e fuori dal mondo mentre il cosiddetto “Paese reale” premia il Festival dell’amicizia, della felicità e, per l’appunto, della leggerezza con ascolti da record. Infine, sarà bene recuperare alla svelta il valore più importante: la solidarietà.

    Ragazzi, siamo diventati cattivi. Come se bocciare, punire, espellere, incriminare e condannare fossero verbi positivi, giusti e costruttivi. Possono essere, talvolta, azioni necessarie per il corretto sviluppo della società e per isolare quegli elementi che non rispettano le regole del vivere civile ma voglio ancora sperare che la sinistra si riconosca nelle parole di Victor Hugo, secondo cui “aprire una scuola è chiudere una prigione”, nell’idea di Pietro Nenni, secondo cui un socialista “è un uomo nato per portare avanti quelli che sono nati indietro”, nell’umanitarismo del cattolicesimo democratico e in tutte le tradizioni, culturali, politiche e sociali cui gli attuali partiti progressisti dovrebbero rifarsi.

    Il resto, spiace dirlo, si chiama destra o, nei casi peggiori, barbarie. E questa è un’alleanza che dev’essere infranta quanto prima. Per una questione di civiltà, di igiene del linguaggio e di recupero della sinistra stessa nonché delle ragioni per cui esiste e milioni di cittadini ancora la votano.

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