Scrivo sui quotidiani dal 2003. Ho esordito sulla prima pagina del Tempo con Franco Bechis, poi Italia Oggi, Libero e il Fatto. Ora anche TPI. Per 15 anni ho scritto senza sentire alcuna necessità di prendere il famoso tesserino perché trovavo l’ordine inutile e vetusto, perché chi scrive ha dei doveri che sono validi sempre, con o senza tesserino, perché il diritto di scrivere ed esprime il proprio pensiero lo garantisce l’articolo 21 della Costituzione, non un ordine. Inoltre, chi mi conosce lo sa, ho sempre detto: se lo prendo, non si perderà occasione per segnalarmi per qualsiasi scemenza.
Con le profezie vado forte. Negli anni mi sono arrivate proposte lavorative per cui il tesserino serviva, l’avvocato mi ha convinta del fatto che comunque in caso di querele il fatto di appartenere all’ordine è una tutela in più, insomma, mi sono detta “facciamolo”. Dopo un’oretta buona di esame orale con il presidente dell’odg Lombardia (“brava, uno dei migliori esami sostenuti”) mi è arrivato il benedetto tesserino. Che hanno anche miei amici che non fanno e non hanno mai fatto i giornalisti in vita loro, persone che hanno scritto tot articoli su Cavalli e segugi copiati e incollati da Ansa, persone che hanno pubblicato il numero di articoli necessari per chiedere il tesserino su riviste universitarie e così via.
Cosa è cambiato da quel giorno? Nulla. Continuo a fare il mio lavoro come il giorno prima, pagando però 100 euro all’anno. E il mio lavoro penso di farlo bene, difendendomi da una quantità di intimidazioni che avrebbero scoraggiato molti colleghi (ecco, perché l’Odg anziché perdere tempo in sciocchezze non conduce una battaglia seria e cazzuta per difendere i giornalisti dalle querele intimidatorie?). A proposito, nonostante tutto, sono incensurata. Perché verifico, sono pignola, non mi innamoro di tesi da portare avanti ad ogni costo.
E veniamo a Salvini. Come ho già spiegato, della presenza di Salvini al Portello domenica non sapevo nulla e non doveva saperlo quasi nessuno perché c’erano 4 gatti. Io ero lì a fare colazione con figlio e fidanzato, viviamo a due passi. Il bar del Portello è di fronte al gazebo della Lega. Ci siamo accorti dell’arrivo di Salvini perché un centinaio di persone si sono accalcate in pochi minuti e abbiamo sentito un applauso. Mio figlio da un anno circa è appassionato di politica e non perché spinto o motivato da me, ma perché ha fatto amicizia con un ragazzo che milita in alcuni gruppi studenteschi vicini alla sinistra. Non starò a raccontare cosa fa, cosa pensa, per cosa manifesta, sono fatti suoi. A volte non condivido neppure le sue idee (sulla statua di Montanelli, per esempio, e ne discutiamo).
Il suo scarso amore per Salvini l’avete visto (e quello lo condividiamo). Quando mi ha detto “vado a dire cosa penso a Salvini”, non ho pensato per un attimo che fosse mio diritto dirgli di no. E lo penso ancora adesso. Preferisco che impari a confrontarsi guardando negli occhi “l’avversario” piuttosto che vederlo imbastire discussioni sui social. Io e mio figlio domenica mattina non ci siamo presentati a nessuno. Avevamo la mascherina. Salvini stesso ha detto che non ci ha riconosciuto. E nessuno sapeva chi fosse Leon finchè due poliziotti in borghese, con nostro grande stupore, gli hanno chiesto i documenti. E non prendendolo da parte, badate bene, ma chiedendoglieli lì, in mezzo alla gente, con telecamere e giornalisti davanti. Mentre un adulto alle sue spalle gli urlava “zecca”.
Lì ho preso il telefono e ho chiesto ai poliziotti perché lo stessero identificando. Perché era evidente che si trattava di un atto intimidatorio. Leon non aveva i documenti perché era sotto casa e non aveva pensato di portarli con sé e a quel punto è stato invitato a fornire le sue generalità davanti a tutti. Nome, cognome, indirizzo di casa (che ora ha chiunque abbia ripreso la scena o sentito). A quel punto, i giornalisti lì presenti hanno capito. Ci hanno seguito. “Selvaggia ma è tuo figlio!”. Dopo 5 minuti eravamo a casa. Era quasi mezzogiorno. A mezzogiorno e un quarto il video di Leon senza pixel sul volto era sull’agenzia stampa Agtw, poi su Local team. Era già “Leon il figlio di Selvaggia Lucarelli”. Migliaia di commenti in pochissimi minuti.
Poi sulla pagina Lega Salvini premier (alle 15,00), senza pixel, con la sua identità riportata. Poi sono arrivati gli altri. Ansa mi ha chiesto se mi creava problemi che fosse uscito il nome e ho risposto che mio figlio non si doveva vergognare di nulla. Ormai era andata.
DOPO tutto questo, alle 17,30, ho spiegato come era andata su TPI, mostrando l’assurdo comportamento della polizia. Io e mio figlio non abbiamo raccontato né pubblicato un bel niente per primi. Non ho dato ESCLUSIVE al sito per cui lavoro, non ho diffuso io la notizia e infatti siamo arrivati per ultimi, per giunta non per dare notizie, ma per spiegarle. Non ho reso IO identificabile mio figlio, che poi è la cosa di cui mi accusa l’Ordine dei giornalisti.
Il giorno dopo mi arriva una mail piccata di Alessandro Galimberti, presidente dell’Odg Lombardia, con cui diedi l’esame. “Mi hai deluso, i figli non sono vessilli, hai violato la carta di Treviso, non diffondere questo messaggio”. Vessilli? Sembrava più un giudizio politico. Poche ore dopo ho sentito Salvini dire “la Lucarelli ha violato la carta di Treviso”. L’ho trovata una strana coincidenza. Il messaggio l’ho tenuto per me, non ho scritto nulla.Ho risposto però via mail a Galimberti che mio figlio era stato reso riconoscibile da siti vari e dalla pagina della Lega. E che a 15 anni è libero di esprimere le sue opinioni. Poi non mi viene detto più nulla. Non mi arriva alcuna comunicazione. Nel frattempo la Lega pubblica due volte il video di mio figlio. Insulti a migliaia. Leon riceve anche un sacco di solidarietà e di affetto. Tantissimo. Ringrazia. Sipario.
La vicenda sembra chiusa e invece ieri sera Agi batte una notizia che io non avevo ricevuto da nessuno: sono stata deferita dall’Odg per aver reso riconoscibile l’identità di mio figlio (deferita vuol dire che il consiglio disciplinare deciderà se vado ammonita o decapitata in pubblica piazza o niente, quelli che festeggiano non hanno capito un granché). Quindi sono stata deferita per ciò che hanno fatto altre testate e la pagina della Lega. Il Salvini giornalista non ha violato la carta di Treviso . Gli altri neppure. Soprattutto, l’ordine dei giornalisti, l’organo che vuole proteggere mio figlio da tutta questa morbosità dei media, lo comunica non a me in privato ma a un’agenzia di stampa e dopo 4 minuti il tutto è già sulla pagina della Lega. Coincidenze? Non credo, direbbe qualcuno.
Bene. Cioè, male. Male perché torno all’incipit di questo mio scritto. Io ho preso il tesserino soprattutto per sentirmi più tutelata dalle continue pressioni e intimidazioni che questo lavoro si porta dietro. E con una certa amarezza scopro che l’Odg non trova intimidatorio e irrispettoso della privacy l’identificazione pubblica di mio figlio da parte di poliziotti, ma in difetto me. Giudicandomi non come giornalista, ma come madre, e con considerazioni più politiche che professionali (i figli non sono vessilli!). E questo deferimento annunciato alla stampa per ragioni così pretestuose lo trovo non solo un atto intimidatorio, ma anche e soprattutto politico.
Aggiungo che mi sarebbe piaciuto vedere la stessa solerzia dell’Odg nel riprendere pubblicamente mille schifezze viste sui giornali negli anni (e non parlo solo di Libero, che è cosa facile), ma evidentemente esistono delle priorità. Che negli ultimi mesi sono state Leon che dà del razzista a Salvini e Repubblica che scrive “cancellate Salvini” (deferito anche Verdelli). Buffo. Insomma, mi trovo a difendermi da chi doveva proteggermi. E a questo punto è probabile che nel futuro torni a scrivere da persona libera quale sono. E quale è mio figlio. Che non è un vessillo, caro Galimberti. È un ragazzo come tanti, che era preparato agli insulti e forse meno ai sensi di colpa.
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