Tra i titoli dei tabloid britannici che nei giorni scorsi hanno atteso il presunto “ritorno a casa” dell’Europeo di calcio, uno si è distinto per fair play ed ironia. “Cosa hanno fatto per noi i Romani?” ha scritto il Daily Star, aggiungendo nel sottotitolo un lungo elenco di tutte le innovazioni, i cibi e le caratteristiche culturali che i nostri antenati hanno portato nel Regno Unito e nel resto del mondo. Tra queste ne mancava una: la scaramanzia. E gli ultimi giorni hanno reso molto chiaro come questa caratteristica, molto diffusa tra i romani, abbia attecchito in maniera esemplare tra gli italiani, mentre gli inglesi ne sono rimasti immuni.
Per giorni, abbiamo assistito a prime pagine trionfalistiche dei tabloid britannici, addirittura a conti alla rovescia in tv che calcolavano ogni secondo che li separava dall’inevitabile trionfo inglese, accompagnando tutto con slogan “It’s coming home”, ad auspicare che un titolo, dopo l’unico mondiale vinto nel 1966, torni in quella che ritengono essere la patria del calcio così come lo conosciamo. Al di là dei buoni adagi di evitare di parlare troppo presto per evitare di fare figuracce, un comportamento simile da parte di stampa e tifosi, in Italia, sarebbe impensabile.
La scaramanzia è un fenomeno estremamente radicato nelle nostre vite e che affonda le proprie radici anche nella cultura romana. Per quanto si parli di moltissimi aspetti della vita di Roma antica, spesso passa in secondo piano quanto gli antichi romani fossero un popolo estremamente superstizioso. E così, i riti scaramantici sono sopravvissuti nonostante l’arrivo del cristianesimo e il progresso scientifico, restando vivi e ben radicati nella nostra società. Non importa se servano effettivamente a qualcosa, né importa qualsiasi tentativo di spiegarne che la loro utilità non ha alcun senso razionale, anche perché poco importa se siano veri o meno: essi sono diventati un rituale che suggella molti momenti importanti delle nostre vite, e per i tifosi sono parte integrante della liturgia della partita di calcio.
Ed è così che mentre gli ignari inglesi non si facevano problemi a celebrare la vittoria che sembrava destinata a “coming home”, in Italia parlarne è stato in queste settimane un tabù, così pur non esistendo statistiche a riguardo siamo certi che in tanti abbiano visto tutte le partite con le stesse persone, magari seduti negli stessi posti, per replicare l’effetto positivo dopo la prima vittoria. E non dobbiamo pensare che sia un fatto che colpisce solo i tifosi comuni, visto che la nazionale in primis ha avuto i suoi riti scaramantici, a partire da Gianluca Vialli, salito sempre per ultimo sul pullman dopo essere stato quasi dimenticato a Coverciano prima del match inaugurale con la Turchia. E se quella partita l’abbiamo vinta, allora perché non replicare questo rituale?
Poco importa se serve o no, difficilmente lasciare Vialli a terra o sedersi allo stesso posto della partita precedente può essere paragonabile a una parata durante la lotteria dei rigori o a un assist sotto porta, ma fa parte di tutta quella serie di rituali che costituiscono il tifo, che fanno la loro parte nel creare un forte clima di coesione nello spogliatoio azzurro e nel Paese, intorno a questa bellissima nazionale. La liturgia di quel grande rituale laico chiamato calcio, una liturgia che abbiamo saputo svolgere a modo nostro, meglio dei nostri avversari d’oltremanica. Chissà se dopo aver appreso dai nostri antenati come si costruiscono gli acquedotti e come si cucina la pizza non finiscano per riprendere anche qualche rito scaramantico.