Dunque le sardine si sono davvero mangiate i piranha. Sarebbe stata possibile la vittoria di Stefano Bonaccini in Emilia-Romagna senza il movimento nato in Piazza Maggiore a Bologna?
Le analisi del voto di queste ore, ci dicono che la risposta alla domanda è no. E forse, il sarcasmo caustico messo in campo nei loro confronti da tanti commentatori di centrodestra, a partire da Daniele Capezzone per finire con Maria Giovanna Maglie, ci dice che è stato proprio quel movimento il cuore della vittoria a sorpresa.
Lo dicono i dati e i numeri delle tre città chiave che hanno reso possibile il ribaltamento dei pronostici: Bologna, Modena, e Reggio Emilia. Le sardine sono state l’enzima catalizzante, il motore politico che ha trasformato un sentimento potenziale in una passione civile militante.
Non è un caso che ieri Matteo Salvini, intervistato da Nicola Porro a Quarta Repubblica, abbia riservato a Mattia Santori e compagni la battuta più sarcastica e amara: “Certo, contro di noi ci sono le sardine, i pesciolini, gli uccellini, i passerotti e i gattini…”.
Applausi del pubblico. Le argomentazioni della Lega contro il Movimento sono state insistenti e ripetitive. 1) “Le Sardine sono un movimento contro” 2) “Le Sardine sono un movimento ossessivo nato contro la mia persona”, 3) “Le sardine sono un movimento che attacca un partito di opposizione”.
Argomentazioni sicuramente fondate, ma altrettanto bislacche: per quale motivo non dovrebbe esistere, infatti, un movimento focalizzato contro una forza di opposizione di cui non si condividono i valori?
Per quale motivo sarebbe illegittimo opporsi all’ascesa al governo di un movimento di opposizione che si considera dannoso? E dato che il nuovo centrodestra è una coalizione tutta fondata sul carisma di Matteo Salvini, come si potrebbe non concentrarsi sulla sua leadership?
Ci sono almeno due dati, uno elettorale ed uno politico che danno la misura di quanto le Sardine siano state determinanti in questa battaglia.
Il primo è l’incredibile analisi dei flussi elettorali fatta dopo il voto, cito ad esempio l’istituto Techné di Fausto Buttaroni. Risulta agli studiosi che un elettore su due del Movimento 5 Stelle è passato a Bonaccini, e che – addirittura – un elettore su dieci di Forza Italia ha scelto non solo il centrosinistra, ma proprio il Pd.
Numeri che se fossero stati illustrati prima del voto, avrebbero provocato l’accusa di demenza a chi li avesse presentati. Ma il dato politico vero è che il punto di caduta di tutta la campagna elettorale, il momento esatto in cui il discorso pubblico delle sardine sì e inverato, è stato l’episodio del citofono.
Ieri, un politologo come Massimo Ricolfi lo ha rinfacciato direttamente a Salvini: “Quella scampanellata le ha fatto perdere voti, perché ha reso vera la narrazione demonizzante nei suoi confronti”. Il leader della Lega è rimasto interdetto ed ha incassato il colpo: “Professore, io da lei ho tutto da imparare”.
Era evidente che in queste parole ci fosse una punta di rassegnato sarcasmo, ma era altrettanto chiaro che nella loro chiarezza, le sardine avevano messo a fuoco che l’episodio del Pilastro, esattamente come prima avevano fatto con quello di Bibbiano, queste due campagne insomma erano il cuore della narrazione turbopopulista di Salvini, ma erano anche il suo evidente tallone d’Achille.
Ed allo stesso tempo, erano anche i temi su cui il centrosinistra tradizionale faticava ad esprimersi. Avevano fatto bene dunque le sardine a focalizzare su quel fronte la loro azione, a prendere in mano l’agenda mediatica, ad andare fisicamente a Bibbiano per combattere lì e sul campo una battaglia di egemonia culturale.
I dati del giorno dopo ci dicono che al pilastro e a Bibbiano, contrariamente a quello che avrebbe potuto dettare il senso comune, non ha vinto Salvini ma il centrosinistra.
Ed anche qui, il nesso causa-effetto è abbastanza evidente. Le sardine sono state spavalde, assertive, sfrontate. Ma hanno colto nel segno.
La celebre frase di Mattia Santori, “abbiamo fatto in quattro giorni, senza nessun supporto, quello che Matteo Salvini ha fatto in quattro anni”, con il senno del poi si è rivelata un vero manifesto programmatico.
Molti dicono che ci sarebbe stato spazio anche per delle sardine “di destra” in questa campagna elettorale. E io scherzando, ma nemmeno troppo, ho detto a Maria Giovanna maglie ed Annalisa Chirico, che questo movimento si sarebbe dovuto ribattezzare i piranha, per l’inconfutabile tasso di cattivismo che lo avrebbe contraddistinto, e che avrebbe dovuto organizzare cortei e sit-in innalzando due ritratti delle bravissime comunicatrici d’assalto del salvinismo mediatico.
Mi è venuto in mente dopo, vedendo duellare le due dame con le sardine in tutti i talk show, che i piranha erano già in campo, non come movimento autonomo, ma come un reparto speciale, una sezione del salvinismo culturale.
La Maglie, la Chirico, ma anche Alessandro Sallusti e Pietro Senaldi, sono stati in questa campagna elettorale una formidabile punta di diamante che ha fatto da puntello e da cassa di risonanza al leader, con molta efficacia, molta arguzia e molta forza dialettica.
C’erano già i Piranha. Non nelle piazze, ma nelle piazze catodiche. C’erano, ma le sardine se li sono mangiati.