Sanremo 2020, Rula e Achille Lauro ci insegnano a combattere il maschilismo e il sessismo del nostro tempo
Strano il destino a volte. Il Festival che doveva diventare lo specchio di un Paese maschilista e retrogrado, inaugurato, un paio di settimane fa, dalla epica gaffe di Amadeus, ha finito per diventare il Festival più autenticamente e spontaneamente progressista, antisessista e anticonvenzionale probabilmente della sua storia. La serata d’esordio della 70esima edizione di Sanremo non sarà certo ricordata per il livello delle performance – ad essere sinceri, modeste – ma per due momenti che entreranno di diritto, per motivi diversi, nella storia della televisione italiana e nella cultura di questo Paese.
Due lampi nel buio. Due apparizioni. Una, il monologo di Rula Jebreal sulla violenza contro le donne, di cui si è discusso per settimane, spaccando in due politica e opinione pubblica. L’altra, la “tutina” di Achille Lauro, improvvisa, accecante, inattesa. Almeno per chi non conosceva questo cantante incatalogabile in alcun genere. Non solo artistico. Non solo musicale.
Se li osservi di sfuggita, senza troppa attenzione, sembrano provenire da due pianeti diversi: il primo un artista che gioca a fare il maledetto, irregolare, dissacrante, esagerato, ostentato, truccato come David Bowie (che cita a più riprese) e tatuato per il 50 per cento del corpo, con l’eye liner perfetto, sembra un personaggio costruito apposta per scandalizzare il pubblico perbenista e benpensante del festival; la seconda una giornalista, un’intellettuale, una donna impegnata da anni per i diritti e per l’uguaglianza di genere, un modello di cultura e integrazione, eppure, come Achille Lauro, anche Rula è destinata a scandalizzare il pubblico perbenista e benpensante del festival. Lo stesso pubblico. Lo stesso target. Le stesse, identiche, persone. Con modi, stili e toni che non potrebbero essere più lontani, ma che finiscono con l’ottenere, nella stessa serata, l’identico obiettivo: far gridare allo scandalo, in un unico coro, sovranisti e oscurantisti, nazionalisti e sessisti. Che mai come in quest’epoca coincidono.
Se Achille Lauro si spoglia e ci spoglia di vestiti, convenzioni, tabù, regole, giudizi e pregiudizi, Rula Jebreal analizza con il cuore e la ragione ciò che non riusciamo a vedere sotto i vestiti abbottonati e perfetti di una società ipocrita e giudicante, va alla radice del problema, la sviscera e la legge coi freddi numeri e la racconta con il fuoco della tragedia personale di una madre che si è data fuoco per quella violenza, quando lei aveva 5 anni. Uno è uno schizzo su una tela, istinto puro disintermediato, arte contemporanea. L’altra è analisi e contestualizzazione.
Quello che in pochissimi hanno capito è che la “tutina” di Achille Lauro e il monologo da brividi di Rula Jebreal sono due facce della stessa medaglia. Una raffinata e intelligente. L’altro sporco, provocatorio, urticante, mai volgare. Due atti di coraggio straordinari. Due modi e due stili diversissimi per combattere un unico, enorme cancro del nostro tempo: il maschilismo e il sessismo tossico. Il patriarcato soffocante. La monocultura sessuale dominante. La violenza estrema di chi ti dice chi devi essere e come ti devi vestire.
Non puoi capire uno senza ascoltare l’altra. E viceversa.
Chapeau.