La notizia è passata un po’ sottotraccia, ma è di una gravità inaudita. Stiamo parlando di Samira Zargari, l’allenatrice della nazionale femminile iraniana di sci alpino che non ha potuto recarsi in Italia con la sua squadra per i Mondiali di sci a Cortina, perché il marito le ha proibito di partire. “Fino all’ultimo – ha fatto sapere la Federsci iraniana – abbiamo cercato di trovare una soluzione, ma non è stato possibile”. Il compito di accompagnare la squadra è stato quindi affidato a Marjan Kalhor, un’altra tecnica della Federazione. Un fatto che meriterebbe più attenzione, una notizia che dovrebbe fare molto più rumore. Ma nessuno ha detto una parola.
Eppure negli ultimi giorni ci siamo riempiti la bocca con le parole “quote rosa” e “ministrE”, ci siamo indignati e arrabbiati di fronte all’esigua presenza di donne nella squadra del nuovo esecutivo italiano. Lo stesso neo premier Mario Draghi ieri nel suo discorso programmatico ha più volte posto l’accento sulla parità di genere, sulle donne che hanno perso il lavoro nel 2020, sulle differenze salariali e sulla scelta tra famiglia e carriera che troppo spesso sono costrette a fare. E allora perché nessuno, o forse meglio dire nessuna, ha detto una parola sull’ingiustizia che ha investito la ct della nazionale di sci iraniana?
Viene da pensare che quando un fatto non ci tocca da vicino perde di interesse ai nostri occhi. È la logica del proprio orticello. Nella nostra bella Italia non c’è una legge come quella della Repubblica Islamica che prevede che, per ottenere il passaporto, una donna abbia bisogno del permesso del marito. Passaporto che non è comunque garanzia di piena libertà perché lo stesso marito, di volta in volta, può impedire alla consorte di lasciare il Paese. E allora che “ce ne fotte a noi” se Samira Zargari è rimasta in Iran per colpa del veto di un uomo che calpesta una passione e butta nel cestino anni di impegno, allenamento, fatica, ma anche di vittorie, come quella che l’ha portata a diventare la ct della squadra femminile di sci iraniana. Quello del Mondiale di sci di Cortina era un appuntamento atteso a lungo, preparato con tutto l’impegno insieme alle sue ragazze che sono riuscite ad arrivare sulla piste delle Dolomiti solo perché hanno sposato uomini più indulgenti di quello della loro coach. È un sogno infranto quello di Samira Zargari. Eppure nessuno ha detto nulla. Intanto lei è rimasta in Iran.
Questa mattina il Mondiale è partito proprio con il gigante femminile. L’Italia vanta sciatrici tra le più toste, da Federica Brignone a Marta Bassino (che si è già guadagnata l’oro nel gigante parallelo). Ma anche la fortissima americana Mikaela Shiffrin, la slovacca Petra Vlhová, Lara Gut-Behrami e tutte le altre colleghe del Mondiale che hanno la fortuna di vivere in Paesi in cui la parità dei diritti tra uomo e donna è un fatto (quasi) acquisito. Gareggiano tutte sulle stesse piste fianco a fianco con le iraniane le cui condizioni di parità, in patria, sono ancora molto diverse. Ma nessuna di loro si è fermata un istante per commentare questa triste vicenda, per dire una parola, solo una. Se non le accomuna il fatto di essere donne, dovrebbe almeno accomunarle la stessa passione per lo sci. Il silenzio e l’indifferenza delle campionesse fa male. Fuori gara per un infortunio la grande assente Sofia Goggia non ha potuto evitare domande sulla questione e ha detto: “Cosa può fare lo sport? Non saprei dare una risposta consona. Ci sono ancora delle restrizioni nei paesi islamici nei confronti delle donne. È una questione politica, è meglio non sposarsi finché si è atleti”.
Ha parlato eccome, invece, la sciatrice in gara iraniana Forough Abbasi al termine della discesa di oggi. Sulla sua allenatrice bloccata in Iran dal marito ai microfoni della Associated Press ha detto: “Non è la prima volta che succede. Abbiamo avuto lo stesso problema anche altre volte in precedenza. Ma vorrei che potessimo cambiarlo. Tutte le donne in Iran, tutte insieme, vorrei che potessimo cambiare tutto questo. Ci stiamo provando. Sono sicura che le donne forti possono sicuramente cambiare queste regole e lei sarà più forte di prima. Siamo orgogliosi di lei, davvero”. Abbasi ha raccontato anche che il marito della Zargari è nato negli Stati Uniti ed è cresciuto lì ma è di nazionalità turca. “Vive in Iran da cinque-sei anni”, ha detto la sciatrice iraniana. “E dell’Iran conosce solo le regole”.
Sarebbe bastato anche solo un gesto simbolico per fare arrivare una voce di dissenso e di solidarietà nei confronti di una collega, come quello proposto dall’ex campionessa Isolde Kostner (due mondiali, un argento e due bronzi olimpici vinti in carriera): “Le donne a Cortina dovrebbero indossare qualcosa, un nastro, un fiocco, scelgano loro il colore ma il rosa o il giallo per me vanno bene; il segnale deve arrivare in Iran agli uomini, alla federazione, ma soprattutto a lei che non può essere qui a fare il suo lavoro per una errata interpretazione della sharia”. La vicenda di Samira Zargari “mi tocca il cuore – spiega all’agenzia Ansa l’ex azzurra – perché ho letto molto della situazione che vivono lì le donne. In fondo quanto accaduto all’allenatrice non mi meraviglia: in Iran gli uomini si basano sulla sharia, ma su una errata interpretazione. Perché la sharia non dice che le donne debbano essere sottomesse. Loro la interpretano così e questo ne è un chiaro esempio”. E ancora: “Un nastro o un fiocco sarebbe un bellissimo segnale per comunicare il gesto alla famiglia – sottolinea l’ex azzurra – alla federazione iraniana e tutto il mondo iraniano. Che questo possa far cambiare le cose lì sicuramente no: però è importante mandare messaggi di questo tipo. Mi rallegro sempre quando sento di giovani iraniane che combattono contro questo maschilismo e questa lotta rende loro la vita difficile. Ma c’è chi è riuscita ad emanciparsi e combatte”. Campionesse dello sci, siete ancora in tempo per contribuire a costruire un finale diverso, se non per questa volta almeno in futuro.
Qualcuno potrebbe dire che siamo nel mondo dello sport, e che gli atleti fanno gli atleti. Non politica. Sbagliato. Perché proprio in Iran le proteste contro le normative che limitano i diritti delle donne nel Paese prendono spesso spunto da vicende legate allo sport. Non possiamo dimenticare la tragedia di Sahar Khodayari, la 29enne che nel 2019 si diede fuoco per protestare contro il divieto alle donne di entrare allo stadio. Era stata fermata allo Azadi di Teheran dopo esservi entrata travestita da uomo per assistere alla partita della sua squadra del cuore – l’Estghlal, a quel tempo allenata tra forti contrasti dal tecnico italiano Andrea Stramaccioni – contro l’Al Ain, club degli Emirati Arabi Uniti. Un mese dopo la sua morte per la prima volta furono ammesse allo stadio di Teheran 3.500 donne per assistere alla partita Iran-Cambogia, valida per le qualificazioni al mondiale in Qatar. Partita che fu vinta dall’Iran.
Un altro caso di diritti della donna calpestati in Iran, sempre nel mondo dello sport, è quello avvenuto cinque anni fa a Niloufar Ardalan, capitano della nazionale femminile di calcetto, bloccata dal marito alla vigilia della partenza per i Mondiali, proprio come Samira Zargari, alla volta del Guatemala. E le proteste quella volta servirono, tanto che il veto coniugale fu annullato da un giudice. Un esito positivo che potrebbe ripetersi con Samira Zargari se solo si alzasse l’attenzione sulla vicenda.
E pensare che le donne in Iran prima della Rivoluzione Islamica erano libere. Come ricorda Il Corriere della Sera, sempre a Cortina, nel 1963 “i cinegiornali Luce mostrano nelle serate brillanti cortinesi un’altra donna iraniana, che di nome non faceva Samira ma Soraya Esfandiary Bakhtiari. Al tempo era l’ex regina di Persia, era libera (nel suo privilegio) di muoversi e di decidere del suo destino, era reduce da un matrimonio annullato. E all’Hotel Bellevue di Cortina riceveva il “premio dell’arte e della popolarità”.
Ma il no comment sul caso Samira non è solo delle campionesse di sci impegnate nelle gare. Anche la Fondazione Cortina 2021, il comitato organizzatore dei Mondiali e la Federazione italiana di sci non hanno commentato la vicenda finora.
Si è espresso invece il sindaco di Cortina, Giampietro Ghedina: “Non valuto usi, costumi o norme di altri Paesi – ha detto il primo cittadino – però stiamo ospitando un evento prima di tutto sportivo, che vuole accogliere i popoli di tutto il mondo e dare l’opportunità di confrontarsi. L’attività sportiva dovrebbe unire i popoli e le genti, più che creare divisioni. Rispetto per le regole e le religioni altrui, però dispiace. Di solito lo sport è qualche cosa che unisce, non che divide”.
E allora, se è vero che non siamo veramente liberi finché c’è qualcuno non libero in giro per il mondo dovremmo rompere questo silenzio sull’ingiustizia che ha subito Samira. Una protesta che è un appello a lavorare per il miglioramento della condizione femminile nel mondo, non solo dello sport.
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