Alla fine del 2020, quando tutto il mondo, esausto e fiaccato da dieci mesi di pandemia, si concentrava sull’organizzazione delle campagne vaccinali, in Italia ci si preoccupava di far cadere il Governo.
Questa realtà distopica, nella quale gli interessi della collettività sono stati anteposti al vantaggio personale – di Renzi, ma forse non solo, come ha insinuato Goffredo Bettini – ci ha traghettato verso la presunta terra promessa del Governo dei migliori.
Un governo, capitanato dal prescelto Draghi, nel quale sono confluiti quasi tutti i partiti, in una presunta e sgangherata unità nazionale, che ha, invece, finito per aumentare la spaccatura tra “rigoristi” e “aperturisti”. Da una parte i rigoristi sopravvissuti della passata amministrazione, che tentano di far capire l’impossibilità di riaprire tutto in assenza di una vaccinazione di massa, dall’altra gli esponenti di destra, con Salvini in testa, che fomentano ogni giorno il popolino, pur stando al Governo, soffiando sul malcontento generale per caldeggiare le riaperture incondizionate di tutte le attività, nella speranza di intestarsi tale conquista e i conseguenti consensi elettorali.
Ci hanno già provato in Sardegna con Solinas: hanno decretato una zona bianca senza vaccinazioni che è durata come un gatto in tangenziale. Nel giro di tre settimane, le riaperture hanno causato il collasso del sistema sanitario con immediato passaggio in zona rossa. La realtà distopica continua, anche un anno dopo, a raccontare i fatti per quello che sono: non c’è tutela dell’economia se non si contiene il virus.
Eppure ancora in molti sono convinti, perché ignorano la realtà o perché sfiniti economicamente da ristori inconsistenti, che riaprire tutto sia la soluzione. E si battono, fomentati da talune correnti politiche, per agevolare riaperture del tutto premature. Ancora insistono, come Bolsonaro in Brasile, a sottovalutare il virus, mettendo a repentaglio salute ed economia allo stesso tempo.
Peccato che sia passato un anno dall’inizio della pandemia e che adesso, negare l’efficacia del lockdown totale, rispetto all’assenza di restrizioni, equivalga a un’ammissione involontaria d’ignoranza e il promuovere le riaperture in Italia con 400 decessi al giorno, sia una sconfitta politica decretata dalla stessa ottusa ignoranza e da una mancanza di forza istituzionale in grado di imporre con forza un lockdown necessario, nonostante le assurde pressioni contrarie delle Destre al governo.
Persino Boris Johnson, forte di un’immunità di gregge raggiunta grazie a un lockdown durissimo (durato quattro mesi) e a una massiccia campagna vaccinale, ancora esita a dare il via libera tutti nel Regno Unito e invita alla prudenza.
Eppure noi, ben lontani dai numeri inglesi, già programmiamo premature riaperture massicce, condizionati dalle reazioni popolari innescate dalle promesse irrealizzabili della Destra.
Noi, ostaggio dei diktat della destra al Governo che reclama un cronoprogramma per le riaperture, invece di ricalcare gli esempi virtuosi del Regno Unito e di Israele che hanno indetto un lockdown rigorosissimo durante la campagna vaccinale, siamo costretti ad accontentare le istanze degli illusi dalle promesse propagandistiche della Lega e di Forza Italia, che spingono per le riaperture.
E così il Governo dei migliori è stato costretto a capitolare. L’agnello sacrificale è stato Speranza, accusato di gioire per le chiusure (chi universalmente vorrebbe intestarsi tale infamia?). Forze politiche che, pur stando al Governo, cercano di raccogliere facili consensi, alimentando false speranze in un’opinione pubblica ormai sfinita da un anno di pandemia e di chiusure a singhiozzo, per poi capitalizzare i consensi nell’immediato.
Che importa poi, se i ristoratori o i commercianti italiani, illusi da certe dichiarazioni, si sentono autorizzati a protestare in piazza, anche in maniera scomposta, per reclamare tali promesse irrealizzabili?
Si perché, in caso non fosse chiaro, inneggiare alle riaperture totali, in assenza di una sufficiente copertura vaccinale e con i nostri numeri di contagio, è propaganda della peggior specie. Invece di ricalcare gli incontrovertibili esempi virtuosi dei modelli israeliani e inglesi, ci avviamo ad emulare la peggiore gestione in circolazione: quella brasiliana. E il conto da pagare, anche stavolta, rischia di essere insostenibile.
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