È stata, quella di ieri, la giornata di dibattito parlamentare più bella, più divertente, più demenziale e folle che io ricordi in ventinove anni di carriera. Una giornata così complessa che nessuno era in grado di decrittarla nemmeno dal punto di vista istituzionale-procedurale. Era come chiedere la Var, sul rigore, e non avere il regolamento per capire se c’era fallo o no. È stata la giornata, forse, del più bel discorso parlamentare di Matteo Salvini e, allo stesso tempo, della sua più disastrosa sconfitta di questi mesi.
Ieri si è capito che la Lega ha una straordinaria capacità propagandistica ma è entrata in questa crisi con uno strano tocco, un non so che di dilettantistico che l’ha portata a perdere la partita. Doveva essere la spallata, è stato il boomerang. Basti pensare che ieri, il governo di Giuseppe Conte (che prudentemente non si è fatto vedere) dopo quattro giorni di crisi era ancora formalmente in carica. Basti pensare che nessuno aveva ritirato i ministri, che la sfiducia non era stata ancora votata, che la grande “mossa del cavallo”, dello spettacolo salviniano, quella di virare precipitosamente sul taglio dei parlamentari (“se voi lasciate cadere il governo, io lo approvo”) è stata spazzata via dal capogruppo del Movimento Cinque Stelle Patuanelli senza nemmeno consultare con un messaggino con Di Maio: “Se votate la sfiducia a Conte il taglio dei parlamentari non esiste più”.
Basta che la Lega voti la sfiducia al premier, insomma, per rendere la proposta semplicemente irricevibile. Ovvio. Ma la Lega sembra essere finita in un imbuto incredibile con i giornalisti che chiedevano con toni irati alla plenipotenziaria spindoctor, Iva Garibaldi: “Scusa ma voi votate la fiducia oppure no?”. E la quadratissima portavoce di Salvini che diceva: “A questo non posso rispondere” . E il clima era questo. C’era un capannello in Transatlatico, un turbine di gente che parlava, e la guerra nell’emiciclo, dove la guerra sull’abbronzometro (“Sei più abbronzato tu!, “Non tu!”) partiva da Salvini per abbattersi su quello dell’opposizione, e dai banchi dell’opposizione contro Salvini. E poi dieci minuti di provocazione di Salvini contro Matteo Renzi preso come un punging ball perché il leader della Lega aveva bisogno di una soluzione di emergenza per recuperare respiro.
Poi c’era lo spettacolo (brutto) della presidente Casellati che menava quelli che erano insultati (imparasse da Mara Carfagna), un’ira di Dio senza precedenti. Ma questo è colore. Perché la sostanza è un’altra: in questo momento, signori, tutto è possibile. Da un lato c’è una linea di colombe padane alla Calderoli che potrebbe persino spingersi a dire “dai ragazzi, abbiamo scherzato: il governo non è caduto ma potremmo ancora tornare indietro”. Sì, Salvini perderebbe la faccia ma eviterebbe la grande paura di ieri. E il terrore tremendo che ha preso i capi leghisti era quello di subire un doppio scacco: “Attenzione qui non riusciamo ad avere lo scalpo del governo, non riusciamo ad avere il voto, qui ci fregano”.
Ieri c’è stata una battuta meravigliosa che è intercorsa fra due amiche-nemiche sui banchi della potenziale nuova maggioranza perché, per la prima volta la Lega è riuscita a ottenere che Cinque Stelle e il Pd votassero insieme. Questa battuta la dice tutta sul clima. Roberta Pinotti si è rivolta verso Paola Taverna (che varie volte l’aveva definita come l’unica avversaria degna di stima) e le ha detto sorridendo: “Paola, ma quand’è l’ultima volta che hai fatto un post dicendo ‘mai al governo con il Pd?’”. Dopo aver finto di pensarci un po’, la Taverna, che hai il gusto per la battuta romanesca, le ha risposto: “Ieri, mi sa”. E allora la Pinotti l’ha guardata e le ha detto: “Ah ma allora è passato molto tempo!”.
Perché l’altro punto è questo: non si sa come, e perché, non si sa per quale via, ma ieri il fantasma di questo governo ha iniziato a camminare: il governo giallo-rosso non eccita più solo le fantasie dei romanisti, e ha iniziato a camminare lungo i corridoi del Senato, del parlamento, dei colli istituzionali. Il vero pericolo per Salvini. Che ieri ha mostrato per la prima volta un grande punto debole: si è rivelato un tattico bravissimo nella propaganda ma un pianificatore disastroso nella strategia. Bravissimo negli slogan, nelle battute, nei dettagli, nella capacità di punzecchiare i suoi polli (cioè i deputati e i senatori renziani del Pd), ma chiuso in questa Caporetto disastrosa, a cui è arrivato perché non aveva la minima idea di quale fosse il percorso parlamentare che poteva portarlo a raggiungere i suoi obiettivi.
E così adesso tutto è fermo. Alla fine si vota il 20, il sì della Lega al taglio dei parlamentari è già un dettaglio, una storia nella storia. Una boutade che è durata quarantott’ore. Mentre il problema grave del Carroccio è come evitare di perdere il biglietto della lotteria: essere stati i padroni del mondo, aver avuto in mano le chiavi tutto, i sondaggi che ti danno in testa, il gradimento del leader, l’ebbrezza del Papeete che sembrava ti gonfiasse le vele, e invece aver creato il nuovo capolavoro suicida stile-Renzi. Che poi è quello di aver coalizzato tutto il mondo contro di te, e di non essere sicuro di portare la pelle dell’orso a casa.