Ho abortito. Volontariamente. Più di una volta. Due o cinquanta, sono fatti miei, e in realtà anche quello che nella vita ho deciso di fare del mio corpo erano fatti miei, finché ho sentito che non lo erano più.
Cioè quando Salvini, come sua abitudine, ha parlato di ciò che non sa, con l’unico e consueto scopo di usare qualcuno per colpire qualcun altro. In questo caso le donne, e già che c’era le donne straniere, perché lui nel colpire i soggetti più deboli ha una mira intrepida, che sa quasi di eroico.
Ha detto, l’eroe, che ci sono immigrati che hanno scambiato il pronto soccorso per un bancomat, che alcune infermiere gli hanno riferito che donne non italiane hanno abortito anche sei volte, che non si può arrivare a prendere il pronto soccorso come la soluzione a uno stile di vita incivile per il 2020.
Potrei controbattere che i pronto soccorso sono intasati da italiani, circa 30 milioni l’anno, e che nel 75 per cento dei casi sono italiani che potevano curarsi a casa. Le sale d’aspetto degli ospedali sono affollate di persone con un raffreddore indesiderato, più che con una gravidanza indesiderata.
Magari la maggior parte dei malati immaginari sono pure uomini, quegli uomini che per un prurito sospetto sulla caviglia rivedono l’asse ereditario. Potrei controbattere che solo un fesso può pensare che per abortire ci si metta in fila al pronto soccorso come per le gastroenteriti o le bruciature da ferro da stiro.
Potrei controbattere che ci sono straniere che vanno educate alla contraccezione, è vero, ma di solito, a meno che le straniere non siano meduse e si riproducano in remoto, ci sono uomini stranieri che fanno la loro parte.
Potrei controbattere che delle infermiere che spifferano nell’orecchio al politico di turno quante volte le loro pazienti hanno abortito, specificandone la nazionalità, non andrebbero citate ai microfoni, andrebbero rimosse dal loro posto e mandate a fare un mestiere che non abbia a che fare con l’umanità e la cura degli altri, che non è solo applicare una flebo o misurare la febbre.
Potrei andare avanti all’infinito, nel dire quanto di cretino e irriflessivo ci sia in queste considerazioni di Salvini, ma mi pare più importante altro. Ed è invitarlo a usare me. Usa me, Salvini.
Sono donna. Sono italiana. Dillo a me che ho uno stile di vita incivile. Vieni a farmi la morale o a insegnarmi cosa debba fare della mia vita e del mio corpo. Spiegami, magari, anche come mi debba sentire, come e se mi possa auto-assolvere, spiegami i miei peccati.
Spiegameli mentre stringi il rosario della Beata Vergine Maria, mentre accarezzi i bambini dal palco di Bibbiano, mentre ti fai portavoce della Madonna di Medjugorje. Mentre ti trasfiguri e noi peccatori ci soffiamo il naso nelle tue vesti candide.
Non ti aspettare però che piagnucoli, che ti parli di quanto sia doloroso abortire. Di cosa significhi emotivamente, del perché sia successo e del perché sia successo più di una volta. Questi, perdona il lirismo, restano cazzi miei.
Non è con loro che ti devi confrontare tu, troppo facile. Toppo facile fare la morale a una donna che si fa già la morale da sola. Quello – l’esercizio del senso di colpa, la malinconia di ciò che poteva essere- lo facciamo benissimo da noi, stai tranquillo.
Quello con cui non sai confrontarti e che nel profondo non ti va giù è che ho abortito, che hanno abortito, perché abbiamo esercitato un nostro diritto, un diritto che non si misura nella quantità e che non si misura nei giudizi regalati ad un microfono. Io e così le altre donne. Tutte.
Quelle di cui ti hanno spifferato all’orecchio, quelle che te lo stanno dicendo oggi, quelle che sono state tue amiche, compagne, cugine e di cui neppure sai, con ogni probabilità. Potrei raccontarti di aver fatto file in un giorno di inverno in un padiglione squallido, di cosa sia la pillola abortiva e di cosa succeda se non funziona come dovrebbe.
Potrei raccontarti di una ragazza che piangeva in un letto d’ospedale e di una che ha preso veloce la sua borsa ed è scappata via sollevata. Di me che ho sofferto o che sono stata fredda, senza mai dimenticare, qualunque fosse il mio stato emotivo, che stavo decidendo per me, che stavo decidendo io, che nessuno poteva e doveva farlo al posto mio.
Che io sola sarei stata il giudice legittimo delle mie azioni. Che quello che stavo facendo era la conquista di donne coraggiose che hanno lottato per me, che indietro non torno e non si torna. Usa me, Salvini, se proprio vuoi giudicare.
Me che non sono una straniera magari buttata sulla strada da qualcuno, me che ho potuto studiare, che non vengo dalla cultura dei dieci figli come benedizione e che ho avuto una vita facile.
Usa me, per la tua propaganda, se hai coraggio. Giudica il mio stile di vita. Io non giudicherò il tuo. Giudico il tuo stile nel fare politica. Che è quello- sempre- di chi ogni giorno prova a rosicchiare qualcosa dei diritti fondamentali di tutti noi.
E tutto questo, purtroppo, è tanto tragico, quanto chirurgico. Come un aborto.