Ogni mattina, la ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Maria Roccella si sveglia e sa che dovrà correre più veloce delle femministe brutte e cattive che vogliono la “mercificazione del corpo femminile” con l’utero in affitto, che pensano “purtroppo” l’aborto sia un diritto delle donne e che vogliono “negare l’identità femminile con lo schwa”. La ministra non ha vita facile; porta avanti un ideale di famiglia ben preciso, quello monogamo e patriarcale, che Fratelli d’Italia ha consacrato come modello di riferimento fin dai tempi della campagna elettorale. Ma è sola contro tanti detrattori incapaci di comprendere le sue battaglie. Portavoce del Family day, contraria alla legge sui Dico per il riconoscimento dei diritti alle coppie omosessuali, alla fecondazione assistita e, soprattutto, volto di spicco delle campagne Pro Vita per combattere il ricorso all’aborto, la ministra Roccella ogni giorno si sveglia e sa che dovrà correre più veloce delle donne che pensano di fare battaglie universali e invece aspettano che qualcuno spieghi loro come va il mondo.
È facile attaccare oggi la ministra Roccella, è facile prendersela con lei per qualche dichiarazione poco empatica col mondo femminile o con l’emancipazione e l’apertura per cui da decenni si combatte. In pochi forse sanno che il vero cuore che batte dentro quella ministra, apparentemente così dura e distante, è quello di una femminista vera. Ebbene si. Rocella in giovinezza ha sposato convintamente la causa del femminismo. Appena maggiorenne ha aderito al cosiddetto MLD (Movimento di Liberazione Della Donna), nato proprio nell’orbita del partito radicale. Fin dal suo primo congresso, nel 1971, l’MLD ha denunciato la “natura specifica dell’oppressione della donna a livello economico, psicologico e sessuale” e proposto disegni di legge per di stampo liberale per garantire l’aborto, liberalizzare gli anticoncezionali e istituire asili nido. Non dovesse bastare, nel 1975 ha curato la prima edizione di Aborto, facciamolo da noi, che tra le altre cose sosteneva il metodo Karman per l’interruzione di gravidanza.
Poi, in un precipitare di eventi a noi ignoto, in uno strano evolversi di pensieri, idee e convinzioni, qualcosa è cambiato per sempre. Per sempre? Poco più di un decennio dopo, Roccella abbandona i radicali e passa al fronte opposto. La sua trasformazione in una delle esponenti più convinte del conservatorismo cattolico italiano avviene negli anni Novanta, quando lascia la politica attiva e rinnega totalmente la sua militanza giovanile. Diventa un’esponente dei movimenti antiabortisti, demonizza la pillola abortiva RU486 definendola «un enorme inganno» e l’aborto come «il lato oscuro della maternità» e una «scorciatoia che non dovrebbe più esserci».
Leggere le sue dichiarazioni odierne e poi compararle con quelle degli anni Settanta può risultare straniante ma non lasciatevi ingannare. La stessa autrice che, nel ’75, scriveva che «a difendere il diritto all’aborto dobbiamo essere proprio noi femministe», trent’anni dopo avrebbe dichiarato: «Quest’idea per cui la procreazione assistita sarebbe un modo per andare incontro a un desiderio naturale della donna fa parte di un armamentario esclusivamente propagandistico. È un’accentuazione retorica per giustificare la prassi, appunto della fecondazione assistita. Se uno fosse davvero preoccupato per la salute della donna dovrebbe vietare le stimolazioni ormonali tout court. La cosiddetta libertà di scelta è stata messa in discussione perché si è cominciato a capire che da libertà di scelta di “quando e se” essere madri, sta diventando sempre più una libertà di scelta sul figlio: la libertà di “chi” essere madri, attraverso la selezione genetica».
Per chi vuole giungere a facili conclusioni, la sua storia è quella di una femminista pronta a rinnegare le battaglie di gioventù per tuffarsi nel conservatorismo più radicale: «Il patriarcato è una storia che ci appartiene – affermava all’interno del programma “Che sarà” di Serena Bortone la scorsa settimana – è la storia dell’oppressione dell’uomo sulla donna, il patriarcato esiste. Ci sono le vecchie forme di patriarcato che in alcune aree del mondo le donne vivono in prima persona, penso per esempio all’Iran, e che anche noi in parte ancora viviamo, ma penso che ci siano anche nuove forme di patriarcato, che forse vengono analizzate poco. Penso alla negazione dell’identità femminile, penso allo schwa, all’idea che chiunque possa dichiararsi donna (facendo riferimento all’affermazione di genere), perché questo non parte dal punto fondamentale, e cioè che il motivo principale dell’oppressione delle donne è il corpo sessuato, infatti lo stupro, la violenza partono da lì. Le donne sono oppresse perché hanno un corpo di donna. Le pari opportunità che dobbiamo raggiungere partono da questa differenza, la differenza sessuale, il corpo sessuale».
Agli incauti detrattori della ministra, sembrerà che Roccella ha sostenuto che il motivo dell’oppressione nei confronti delle donne è il corpo sessuato, ma l’aggressore, verosimilmente un uomo, agisce violenza su una donna perché essa si identifica come donna o perché l’aggressore la percepisce come tale? L’aggressore chiede, prima di agire violenza, “scusami, giusto per conferma, tu sei una donna vero?”. Sembrerebbe di no. Ma Roccella forse sa cose che noi non sappiamo. Ci illumini.
Ministra Roccella non se la prenda, stiamo tentando di de-costruire questa narrazione falsa e tendenziosa che la vuole dall’altro lato della barricata. In fondo lo sappiamo che certe cose non le pensa. Sappiamo, per fare un esempio, che lei non crede davvero che in Italia «non si fanno figli perché si preferisce lo spritz», insultando, mortificando così le migliaia di coppie che – in un percorso di dolore e di speranza – lottano per riuscire ad averlo, un figlio.
«In Italia non si fanno figli per un problema culturale. In uno dei tanti incontri che ho fatto c’era anche il giornalista Francesco Verderami, disse: “Sì, infatti oggi l’alternativa è tra lo spritz e il figlio“. Con questo voleva dire che oggi hai delle opportunità che un tempo non c’erano e che fare i figli può essere un ostacolo a vivere queste opportunità», diceva Roccella a luglio scorso, durante il convegno organizzato al Consiglio regionale del Lazio, “Natalità, conciliazione, welfare aziendale”. «Io ho detto che bisogna eliminare questi ostacoli far sì che lo spritz sia il figlio, dando un ambiente amichevole nei confronti della genitorialità. In questo metaforico spritz rientra la costruzione di un welfare aziendale e un mondo del lavoro che sappia tenere conto di queste nuove esigenze». Lo ha detto, ma non lo pensa davvero ministra.
Le chiedono allora cosa pensa del caso del presidente del Senato Ignazio La Russa, che interroga e assolve in salotto il figlio accusato di stupro. E lei, invece di rispondere che il presidente del Senato, seconda carica dello Stato, avrebbe dovuto tacere e affidarsi alla giustizia, dice solenne: «Non entro nelle frasi d’un padre». La Roccella poi ci fa pure sapere – con analoga solennità – che «ai cani non bisogna dare i nomi dei bambini». Ma quanto mansplaining, ma quante lezioni di vita per essere una nostra compagna di battaglie!
Ministra, lei forse è mal consigliata. Ci rifletta. Nel periodo più delicato e sentito dell’anno, dopo la manifestazione contro la violenza sulle donne più partecipata da tempo immemore, lei cosa fa? Guarda al dito che indica la luna? Per la ministra Roccella, la manifestazione di Roma del 25 novembre è stata «sprecata». Il motivo è, a suo avviso, la presenza di «motivi ideologici», che si sarebbero insinuati tra i temi della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. «Mi dispiace che la manifestazione di ieri di Roma, che poteva essere una grande occasione, sia stata sprecata per motivi ideologici», ha detto Roccella a Sky Tg24. Ma quali sono i motivi ideologici? «Come ha sottolineato oggi una filosofa femminista, Adriana Cavarero. È stato grave inserire nella manifestazione la questione della Palestina. La mobilitazione delle donne non deve essere inquinata da ideologia e troppa partigianeria politica». Ministra, così ci sembra in malafede e invece di concentrarsi sull’importanza di un grido di tale portata, pensa a sminuirlo parlando di qualche bandiera, o peggio, di un’ideologia. Come se la parola stessa oggi debba essere negativa per forza.
Ogni mattina, una donna si sveglia e sa che dovrà cambiare idea su cosa indossare, perché qualcuno le dirà che si sta andando a cercare il lupo. Ogni giorno una donna, come sorge il sole, si sveglia e sa che dovrà iniziare a correre più dei suoi sensi di colpa, più di chi glieli fa venire. Dovrà correre, per non perdersi la riunione a scuola, altrimenti sarà inadeguata; per allattare, altrimenti non sarà abbastanza madre; per sposarsi entro una certa età, altrimenti sarà uno scarto; per fare dei figli, altrimenti sarà guasta. Ogni mattina una donna si sveglia e sa che dovrà correre più veloce delle sentenze di ministri e politici. Ogni mattina una donna si sveglia e sa che dovrà correre più forte per difendersi da chi dovrebbe proteggerla. Ogni mattina una donna si sveglia e sa che dovrà correre più veloce della ministra Roccella.