Siamo onesti, però: quando vi chiedono il numero della carta e poi il pin, voi che pin gli dareste? Io gli ho dato quello della carta, che è stato rifiutato per tre volte, fino al blocco della medesima. Ho deciso di ritentare, ripiegando sulla carta di mia moglie. Dopo diverse prove andate a male, giunge il momento di saldare l’importo. E qui, un’altra sorpresa: nel giro di nemmeno un quarto d’ora i posti a disposizione si sono dimezzati, e il loro prezzo è salito di un terzo. In compenso, ho scoperto l’arcano: accanto al numero della carta, viene chiesto sì il pin, però quello della banca! Sarebbe come se qualcuno vi domandasse l’indirizzo di casa e poi il cap, ma riferendosi al cap del vostro ufficio. Qui non si tratta di essere nativi digitali, bensì di non essere imbecilli. Possibile che in una società tutta basata su comunicazione ed ergonomia, il programmatore del sito non si sia posto una domanda simile? Esigi di sapere giorno e mese della mia nascita, e poi, di colpo, arrivato all’anno, pretendi di ricevere quello di mio fratello: ma sei incapace, sadico o entrambe le cose? Intanto anche la carta di mia moglie veniva rifiutata, in questo caso perché, dato che tardava ad arrivare il secondo otp (la password spedita via cellulare), ho continuato a usare il primo.
«Ma cos’è, un gioco a premi?», ho pensato. E subito dopo ho capito che, in effetti, proprio di un gioco si trattava: una specie di Squid Game, quello narrato nella più celebre serie tv di sempre. Certo, qui non viene ucciso nessuno ma, mentre quei concorrenti scelgono di partecipare liberamente, io vi sono stato costretto. Il che costituisce una bella differenza. Morale: sono un utente fatto schiavo e, dopo un pomeriggio di sconfitte, mi sono sentito umiliato come quei pensionati che cadono vittime di qualche truffatore. Basta! Reagiamo! Consumatori di tutto il mondo, unitevi!
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