Se nella partita per la presidenza del Consiglio Matteo Renzi è stato il suo più grande amico stavolta per la partita del Quirinale sarà il suo più grande nemico. Già, perché Matteo Renzi sta facendo di tutto ma proprio di tutto per evitare che Mario Draghi possa salire al Colle. Financo, arrivare a Bruxelles e chiedere una mano all’ex nemico Paolo Gentiloni, ora seduto al vertice di uno degli scranni più importanti che l’Europa unita conosca. E si si può ben capire, a Matteo Renzi: se Mario Draghi venisse eletto al Quirinale si andrebbe dritti dritti ad elezioni anticipate e per il leader di Rignano sarebbe la fine politica.
Non avrebbe tempo per costruire un rassemblement centrista di stampo macroniano e con l’attuale partitino quotato ben che va al 2% non andrebbe da nessuna parte. Insomma, il senatore semplice di Rignano ce la sta mettendo tutta per allungare la legislatura fino al ’23 persino allacciare i rapporti col suo successore alla presidenza del Consiglio Paolo Gentiloni, ma non è detto che stavolta la ciambella gli riesca col buco. Già, perché sono in molti a scommettere che ormai l’accordo per portare Mario Draghi al Colle sia cosa fatta. Ma andiamo con ordine.
Negli ultimi giorni si sono intensificati gli incontri tra gli sherpa dei principali partiti italiani, Fratelli d’Italia compresi: obiettivo, discutere del Quirinale. Il primo dato che hanno messo sul tavolo della bilancia è che ormai è inutile contare su Sergio Mattarella: quest’ultimo non ne vuole proprio sapere di restare al Colle e lo va ripetendo ormai con cadenza settimanale. Anche chi aveva qualche remota speranza di fargli cambiare idea a questo punto deve fare buon viso a cattivo gioco.
Altro elemento finito nei colloqui degli sherpa è che Mario Draghi al Quirinale ci vuole andare eccome, anche se pubblicamente non lo ha ancora detto e probabilmente non lo dirà mai. In realtà, l’ex presidente BCE può stare tranquillo perché i partiti anche se recalcitranti e tutt’ora pronti a negare per non spaventare i “peones” in realtà si sono ormai convinti: Draghi al Quirinale “s’ha da fare”. Ad una condizione, però: il prossimo presidente del Consiglio (a prescindere se ci saranno o meno elezioni anticipate) lo sceglieranno loro e non dovrà essere un nome gradito solamente alla presidenza della Repubblica, tipo il ministro dell’economia Daniele Franco, nome che già circola con insistenza da parecchio tempo.
Il ragionamento che stanno facendo le segreterie di partito è il seguente: noi ti diamo via libera per il Quirinale però tu ci lasci scegliere il prossimo presidente del Consiglio. Insomma, deve ritornare la “politica”. Stop a figure tecniche, la politica vuole riprendere il suo spazio e il suo corso (e gestire così, a differenza di adesso dove non toccano palla, i denari del Pnrr che pioveranno da Bruxelles proprio grazie a Mario Draghi).
Questo è l’accordo che va maturando tra le segreterie di partito. L’intesa tra Letta-Conte-Salvini-Meloni sarebbe insomma più complessa del previsto e prevederebbe una postilla indirizzata proprio al presidente del Consiglio: ti portiamo sull’agognato Quirinale, ma tu ci restituisci Palazzo Chigi e la politica italiana.
I conti tra di loro, tra i partiti, verrebbero regolati dalle successive elezioni, anticipate o meno. Un piano ambizioso quindi, che i partiti ancora non vogliono rendere esplicito, timorosi di fare passi falsi con i rispettivi gruppi parlamentari e di svelare anzitempo gli accordi che stanno prendendo riservatamente.
Due i macigni che l’inedito fronte draghiano dovrá superare nelle prossime settimane: il primo temibilissimo riguarda il Covid.
Un aumento di tipo europei dei contagi e conseguentemente della pressione sugli ospedali, inevitabilmente si trasformerebbe in un brusco stop per coloro che hanno fretta ed anzi porterebbe inevitabilmente ad un congelamento dello status quo, che vorrebbe anche dire, “Mattarella per favore resta al Colle”.
Il secondo macigno che i segretari di partito dovranno sminare, sono i peones, pronti a trasformarsi in franchi tiratori o per meglio dire in “franchi traditori”. Il loro è un partito assai variegato, che attraversa tutti gli schieramenti ed unito da un unico programma: no ad elezioni anticipate. Ma anche qui il rimedio è già stato trovato: quello del “riscatto” del vitalizio.
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