Qualche settimana fa, è arrivata a TPI una convocazione per una mediazione civile da parte dello studio legale che assiste Matteo Renzi. L’editoriale incriminato non è mio ma di Luca Telese, per cui sono andata a cercare l’articolo che non ricordavo così terribile da scatenare un’azione civile (ricordo che le azioni civili mirano a un risarcimento dei danni subiti). L’ho riletto e non ho compreso su quali basi Matteo Renzi chieda un risarcimento, quale sia l’offesa insanabile, cosa rivendichi Matteo Renzi.
Secondo i suoi legali, il valore della controversia è di 100.000 euro perché Luca Telese, oltre ad aver scritto che è prigioniero di se stesso, narcisismo e cupidigia, ha affermato che Renzi percepisce denaro illecitamente. Ora, capite bene che la questione, posta così, è piuttosto grave. Io, se qualcuno scrivesse che mi intasco illecitamente del denaro, riterrei che il valore della pretesa dovesse essere di almeno 1 milione di euro. Il problema è che in nessun passaggio dell’articolo Luca Telese sostiene, scrive, neppure insinua che Renzi si intaschi del denaro in maniera illecita.
Il passaggio incriminato è: “Il Matteo Renzi di oggi è uno che, mentre in Italia mandava il suo esercito allo sbaraglio, se ne stava a fare foto posate sull’Himalaya per intascare un generoso gettone da conferenziere delle piste di sci”. Ora, ho riletto più volte il passaggio ma non mi è chiaro dov’è che Telese alluderebbe a ciò per cui Renzi ha avviato un’azione civile contro TPI.
Matteo Renzi fa il conferenziere internazionale ben pagato da tempo (attività interrotta per il Covid), la definizione “gettone” è lecita e non è certo sinonimo di “bustarella”, non si capisce in quale passaggio si adombrerebbe che ci sia qualcosa di illecito nell’andare a sciare tra una foto e una conferenza pagata. L’articolo allude ad una questione di opportunità, al limite, ed è un tema che si è a lungo dibattuto in quei giorni, ma questa è un’altra storia. Ed è una storia che rientra nel diritto di critica, per cui forse non si scomodano i tribunali.
Ora, quando qualcuno avvia una causa civile, per la controparte non c’è modo di scampare all’iter giudiziario. Non è come per le azioni penali, in cui un giudice può archiviare perché la querela è debole, fessa o pretestuosa, come spesso capita in sorte ai giornalisti, senza avviare alcun processo. Nel civile la mediazione (obbligatoria) ha un costo di soldi e di energie. Se la mediazione non va in porto (si media se si crede di aver torto o se comunque non si vuole andare in causa), si passa al processo civile. Che dura anni. Che è dispendioso. Se vinci, chi ti ha fatto causa deve pagarti le spese, è vero, ma intanto hai avuto una grana per anni.
Matteo Renzi questo lo sa. E da anni ha iniziato la sua personale (e legittima, per carità) battaglia nei confronti dei suoi detrattori o presunti detrattori a colpi di azioni civili che ha denominato “colpo su colpo” con tanto di hashtag roboante e comunicati trionfali quando fa causa a qualcuno. Proprio ieri è tornato sul tema. Il Pd ha annunciato di aver ritirato le cause da lui intentate contro Grillo e lui ha commentato: “Prendo atto che il Pd ritira le cause contro Beppe Grillo. Rispetto la scelta, anche se mi dispiace per i militanti: querelando Grillo – a nome del Pd – intendevo difendere l’onorabilità dei volontari, volgarmente accusati non solo sui social. Per quello che invece mi riguarda personalmente non intendo ritirare nessuna azione civile avanzata contro Beppe Grillo e contro Il Fatto Quotidiano”.
Le sue cause non c’entravano nulla, ma le ha ricordate, come a dire che la scure incombe sulla testa di chi, secondo lui, lo diffama. A fine luglio, Matteo Renzi e il consigliere regionale del Lazio ex Cinque Stelle Davide Barillari avevano fatto una strana pace su Twitter. Barillari aveva chiesto scusa a Renzi per aver esagerato nei suoi confronti con un tweet, Renzi aveva scritto “Prendo atto delle scuse”. Anche questo happy end era frutto non di una telefonata di chiarimenti, ma di una transazione legale. A quanto pare, a Barillari il tweet in cui aveva criticato Renzi è costato una somma da dare in beneficenza e le scuse pubbliche. Insomma, ha preferito risparmiarsi una causa civile lunga e dispendiosa.
Ma Matteo Renzi ha avviato azioni civili anche nei confronti de l’Espresso per l’inchiesta sulla sua villa, contro Fiorenza Sarzanini del Corriere della Sera per la questione della Fondazione Open, contro Michela Murgia per aver commentato la vicenda della villa su Radio Capital e in quest’ultimo caso tenendo però stranamente fuori il gruppo Gedi. Ha querelato anche La Verità di Belpietro per rivelazione di segreto bancario.
Riguardo le cause civili, lui stesso ha ammesso candidamente di non ricordare più quante ne ha fatte, ma in un post su Facebook del 2019 ne cita qualcuna: “I primi dieci atti formalmente predisposti oggi -sono contro: 1) Piero Pelù per avermi definito in diretta TV al concertone ‘boy-scout di Licio Gelli’; 2) Marco Travaglio per le immagini offensive in uno studio TV; 3) Il Fatto Quotidiano per avermi attribuito la realizzazione di leggi ‘ad cognatum’; 4) la giornalista Rai Costanza Miriano per aver sostenuto che i bambini morti in mare sono morti per colpa ‘di un porto aperto da Renzi’; 5) lo chef Vissani per avermi definito ‘peggio di Hitler’; 6) la giornalista D’Eusanio, per avermi insultato in TV; 7) il ministro Trenta e la senatrice Lupo, per le dichiarazioni sull’aereo di Stato; 8) Il Corriere di Caserta per un editoriale ancora sull’aereo di stato; 9) Panorama, sulla vicenda Paita – alluvione di Genova; 10) chi mi ha accusato di essere un ladro per la vicenda banche”.
Ha poi querelato Nicola Porro e naturalmente, un numero impressionante di volte, il suo più grande nemico, il Fatto Quotidiano. Addirittura, è già iniziata la causa civile per due oggetti che Marco Travaglio aveva alle sue spalle, sulla libreria, durante un collegamento con il programma tv Tagadà: la carta igienica con la faccia di Renzi stampata sopra e una cartolina con l’immagine di Renzi, un segnale di pericolo e delle feci (il padre Tiziano ne ha vinte due col Fatto e perse 4). E di cause, al Fatto, Renzi-figlio ne avrebbe fatte 16 in 8 mesi. Nessuna giunta a sentenza.
Insomma, un lavoro mostruoso per gli avvocati e per i tribunali, e non solo. Un lavoro che non sappiamo ancora cosa frutterà, perché se, come nel caso del padre di Renzi, per quattro volte i giudici dicono che i giornali hanno svolto con correttezza il proprio lavoro e vieni condannato a risarcire le spese legali, vuol dire che per quattro volte hai scomodato tribunali per nulla, hai sottoposto i giornalisti a pressioni enormi e in maniera ingiusta. Il brutto vizio di Renzi, in fondo, è questo. Quello di parlare di “cause” che deve ancora vincere o che al limite ha vinto qualcun altro con il tono della vendetta.
“Il tempo è galantuomo”, “Colpo su colpo”, “L’assegno lo incornicio” e così via, mentre siamo in attesa di sapere come comunicherà, e con che registro, le cause che eventualmente non vincerà. Ma soprattutto, quello che non sfugge, è che in questo enorme mappazzone di mediazioni, lettere, buste verdi e post su Facebook, tutto è legittimo, molto è discutibile. Discutibile la causa per un rotolo di carta igienica con la sua faccia (io tantissimi anni fa avevo quella con la faccia di Einstein e giuro che non era una presa di posizione contro la fisica), e quella forse fa parte di un pacchetto più ampio di rese dei conti contro Il Fatto, ma ancora più discutibile quella nei confronti di TPI. Che va a colpire, comunque vada, una testata online che non ha finanziatori dichiarati o occulti, che a Matteo Renzi ha sempre dedicato ampio spazio con equilibrio, interviste e pareri diversi, non solo sferzanti, che se dovesse affrontare tutti i giorni cause civili come questa, in cui neppure si è scritto quel che si è accusati di aver scritto, morirebbe in breve tempo. E se morisse, a pagare sarebbero i giovani giornalisti che a TPI lavorano.
E proprio “giovane” è una parola molto cara a Matteo Renzi. Ha detto che voleva insegnare a fare politica ai giovani, e poi il bonus giovani, la Leopolda per i giovani, il gruppo Millennials e così via, perché scomodare la parola “giovani” quando si fa politica, è sempre utile alla propaganda. Quando invece si intraprende la strada del colpo su colpo e la politica è ormai sullo sfondo, può capitare di sparare un colpo anche su quei giovani che un tempo erano linfa e opportunità.
È con questo spirito che TPI si batterà in tribunale. Non solo per difendersi da un’accusa ingiusta e da una richiesta danni altrettanto ingiusta, ma per permettere a quei giovani che compongono la redazione di TPI di imparare una lezione importante, e cioè che, quando si sbaglia, si paga e si fa un passo indietro. Quando si fa il proprio lavoro con correttezza, non si indietreggia. Neppure se dall’altra parte c’è Matteo Renzi con il suo stuolo di avvocati e l’hashtag ringhioso #colposucolpo.
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