Dalla videopolitica alla piazza, sempre nel segno dei “due Mattei”. Oggi Roma e Firenze sono unite da un filo politico: da un lato il corteo che cementa la paradossale “alleanza ostile” dentro il centrodestra intorno a Matteo Salvini, dall’altro la kermesse egolatrica e cinematografica della Leopolda, con la moto sotto il palco, e la mostra dedicata al fotografo di Matteo Renzi con le foto su Renzi.
Se l’Italia dei “due Mattei” fosse la rappresentazione plastica della dialettica politica ci sarebbe da spararsi. Da un lato Casapound che mette il timbro con la su geniale operazione “entrista” nel centrodestra, dall’altro l’autocelebrazione del partitino personale che combatte strenuamente nel governo contro le misure anti-evasione, per darsi una identità. Da un lato la vera destra, dall’altro la sinistra convinta che ci sia spazio adottando le idee della destra.
E se è vero che il verdetto dell’Auditel dopo il duello da Bruno Vespa ha sancito il successo del duello-patacca di Porta a Porta, è vero anche (per fortuna) che quasi mai gli ascolti della tv rispecchiano i consensi del voto, come prova la leggenda catodica di Vittorio Sgarbi, sempre molto seguito nelle sue performance in ogni programma, ma mai tributato di consensi, nelle urne, nelle sue molteplici avventure elettorali (a partire dal fantomatico Partito della bellezza).
Un italiano su quattro martedì sera era sintonizzato sui due Mattei, come quelli che lo erano, poco prima, sulla partita della Nazionale. Una bella amichevole di lusso. Ma tutto il resto è pura propaganda.
Lo show dei “due Mattei” è stato aiutato dal traino del calcio, e ha avuto un effetto positivo solo per i due Protagonisti che hanno provato a legittimarsi a vicenda (chiamali fessi). Renzi guadagna visibilità per il suo partitino in fasce, Salvini si sceglie un avversario di comodo, uno che cementa i suoi elettori nell’odio per un personaggio screditato e nella certezza di essere nel giusto.
Meraviglioso effetto ottico illusionistico del piccolo schermo, che rende tutto più grande: proprio mentre quelli che in questo momento contano davvero (il premier e i ministri del nuovo governo) erano chiusi a Palazzo Chigi a votare quello che in questo momento contava davvero (la nuova legge finanziaria) i due grandi sconfitti degli ultimi mesi si legittimavano a vicenda nel tempio catodico della seconda serata.
Ho riso molto per la bellissima vignetta di Makkox su Il Foglio dove si immaginava dietro le quinte, in realtà i due Mattei si ritrovassero stretti uno all’altro come due amiconi, fronte contro fronte, avviluppati in un abbraccio consolatorio. Il primo Matteo (Salvini) toccando indice e pollice nel tipico gesto della pinza diceva: “Capisci? Ci sono arrivato un tanto così!”. e il secondo Matteo (Renzi) che gli rispondeva, consolatorio e protettivo: “Lo so Matté, io ero premier… figurati”. E Salvini: “Se non facevo quella cazzata…!”. E Renzi: “So esattamente come ti senti, esattamente!”. Spesso la satira intuisce dinamiche che il rumore assordante di scena e la luce abbagliante dei riflettori riescono a mascherare. E l’idea che i due leader mediaticamente più capaci, dopo due sconfitte parallele, usino la potenza magnetica del duello per provare ad oscurare le rispettive défaillances è una grande intuizione del disegnatore di Propaganda live. I due Mattei sono fatti così: fa parte del loro codice, del loro dna di fanciulli istruiti e battezzati (tutti e due), alla scuola quadri dell’intrattenimento televisivo, nell’istituto di formazione dei quiz anni novanta (“Doppio slalom” il Matteo leghista, “La ruota della fortuna” il Matteo dem). Sono entrambi figli di questa cultura leggera, aerea, scenica, fondata sul culto dell’immagine.
È per questo motivo che i due Mattei sono bravissimi nella dimensione del tempo breve e abilissimi nel codice propagandistico dei social. Così come hanno entrambi un tallone d’Achille fatale quando la politica impone loro il passo dei suoi tempi lunghi: sia Salvini che Renzi faticano nel lungo respiro, hanno dimostrato difficoltà quando si passa dal centometrismo alla maratona. Entrambi hanno accarezzato l’ebrezza dei “pieni poteri” (Renzi con il referendum perso nel 2016, Salvini con la guerra del Papeete persa nel 2019). Entrambi – per motivi diversi ma simili – hanno sbagliato la mossa, perché nati nella semplificazione estrema era convinti che l’Italia fosse diventato un problema semplice, invece era, è e rimane un paese complesso, forse il più complesso paese d’Europa, almeno sul piano politico.
Durante la puntata di Vespa ho notato questo paradosso dell’effetto duello, dove l’annuncio di sfida richiamava il pubblico di entrambi i leader nello stadio virtuale di Porta a Porta, facendo registrare il sold out sulle tribune virtuali del piccolo schermo. Ma subito dopo lo scontro, la tribù della destra e quella della sinistra vedevano, tutte e due, il proprio campione come il vero, unico vincitore. Renzi si era preparato benissimo per il duello, esattamente come si è preparato benissimo per la sua passarella da rockstar alla Leopolda. Sembra ormai uno di quei cantanti bravissimi che cantano in playback sincronizzando anche le pause e i sospiri con la pista registrata. Salvini invece non si era preparato nulla, nemmeno una battuta, ripeteva il suo discorso-tipo di questi mesi, così come gli veniva. Poi faceva le faccette, incassava senza colpo ferire tutti gli affondi e tutte le stoccate. Mi è sembrata uno di quei match di box dove uno dei due pugili sembra sempre lì lì per vincere ai punti grazie ai colpi riesce a piazzare (e questo era Renzi), ma l’altro (e questo era Salvini) dopo aver incassato pugni su pugni, proprio alla fine dell’incontro – quando sembra stia per stramazzare al suolo – riesce a mollare il colpo del Ko.
Salvini ha dato questa sensazione quando ha detto: “Ho capito, Renzi è un genio incompreso, ha fatto tutto e bene, ma gli italiani – ha ghignato il leader del Carroccio – non se ne sono accorti. Io sono al 33, lui al 3 per cento”. È in questa battuta c’è anche la verità sul duello delle due piazze di oggi, e sugli scontri durissimi di queste ore nella maggioranza di governo, tra il leader di Italia Viva alleato con la destra del M5s e Conte-Zingaretti-Franceschini dall’altro. Quel duello che si è svolto sul limite del contante – per esempio – in Consiglio dei ministri, con la capo delegazione di Italia Viva, Teresa Bellanova, che chiedeva consiglio a Matteo su cosa fare via WhatsApp, una nuova Ambra teleguidata nel braccio di ferro.
I due Mattei sembrano simili nella sintesi delle immagini, ma in realtà sono molto diversi. Salvini oggi si prende in mano – bene o male non importa – una coalizione competitiva ed un popolo. Renzi invece aveva una coalizione competitiva ed un popolo, e li ha portati alla sconfitta. Il primo comincia oggi il suo cammino da leader di un intero campo, il secondo lo ha finito un anno fa. Il primo, Salvini, ha perso nella battaglia politica, ma non nelle urne. Il secondo, Renzi, ha perso nelle urne, e prova a prendersi una rivincita nella battaglia politica, con i trucchi coreografici e con la guerriglia fratricida contro la sua stessa maggioranza. Da giorni Nicola Zingaretti insiste: “Se Renzi continua a sabotare il governo si va subito alle urne con Conte candidato premier”. E Dario Franceschini lo bacchetta: “Un ultimatum al giorno toglie il governo di torno”. Perché questo è davvero l’ultima differenza tra i due Mattei: il primo insegue il voto anticipato per raddoppiare il suo peso politico, con una rivincita: il secondo lo teme perché lo porterebbe a dimezzare il suo peso politico con una disfatta. Il leader della Leopolda è sovradimensionato, quello di San Giovanni è sottodimensionato nel Parlamento attuale, il gioco illusionistico della tv, nelle piazze si dissolve, e resta sul campo il brutale e innegabile cuore della verità politica: il rapporto di forza reale dei voti.
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